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i quattro archi: cioè i tre delle crocere, dove sono le cappelle, e quello maggiore della nave del mezzo. La quale opera merita certo di essere celebrata per la migliore che Antonio facesse già mai, e non senza ragionevole cagione: perciò che coloro che fanno di nuovo alcun’opera o la levano dai fondamenti hanno facultà di potere alzarsi, abbassarsi e condurla a quella perfezzione che vogliono e fanno migliore, senza essere da alcuna cosa impediti; il che non aviene a chi ha da regolare o restaurare le cose cominciate da altri, e mal condotte o dall’artefice o dagl’avenimenti della fortuna, onde si può dire che Antonio risuscitasse un morto e facesse quello che quasi non era possibile. E fatte queste cose, ordinò ch’ella si coprisse di piombo, e diede ordine come si avesse a condurre quello che restava da farsi, e così per opera di lui ebbe quel famoso tempio miglior forma e miglior grazia che prima non aveva, e speranza di lunghissima vita. Tornato poi a Roma, dopo che quella città era stata messa a sacco, avendosi il papa in Orvieto, vi pativa la corte grandissimo disagio d’acqua. Onde, come volle il Pontefice, murò Antonio un pozzo tutto di pietra in quella città, largo venticinque braccia, con due scale a chiocciola intagliate nel tufo, l’una sopra l’altra, secondo che il pozzo girava; nel fondo del qual pozzo si scende, per le dette due scale a lumaca, in tal maniera che le bestie che vanno per l’acqua entrano per una porta e calano per una delle due scale, e arrivate in sul ponte, dove si carica l’acqua, senza tornare indietro passano all’altro ramo della lumaca, che gira sopra quella della scesa, e per un’altra porta diversa, e contraria alla prima, riescono fuori del pozzo. La qual opera, che fu cosa ingegnosa, comoda e di maravigliosa bellezza, fu condotta quasi a fine inanzi che Clemente morisse. E perché restava solo a farsi la bocca di esso pozzo, la fece finire papa Paulo Terzo, ma non come aveva ordinato Clemente col consiglio d’Antonio, che fu molto per così bell’opera comendato. È certo che gl’antichi non fecero mai edifizio pari a questo né d’industria, né d’artifizio; essendo in quello così fatto il tondo del mezzo, che infino al fondo dà lume, per alcune finestre, alle due scale sopra dette. Mentre si faceva quest’opera ordinò l’istesso Antonio la fortezza d’Ancona, la quale fu col tempo condotta al suo fine. Deliberando poi papa Clemente, al tempo che Alessandro de’ Medici suo nipote era duca di Fiorenza, di fare in quella città una fortezza inespugnabile, il signor Alessandro Vitelli, Pierfrancesco da Viterbo et Antonio ordinarono e fecero condurre con tanta prestezza quel castello, o vero fortezza, che è tra la porta il Prato e San Gallo, che mai niuna fabbrica simile antica o moderna fu condotta sì tosto al suo termine; et in un torrione, che fu il primo a fondarsi, chiamato il Toso, furono messi molti epigrammi e medaglie, con cirimonie e solennissima pompa. La quale opera è celebrata oggi per tutto il mondo e tenuta inespugnabile. Fu per ordine d’Antonio condotto a Loreto il Tribolo scultore, Raffaello da Monte Lupo, Francesco di San Gallo allora giovane e Simon Cioli, i quali finirono le storie di marmo cominciate per Andrea Sansovino. Nel medesimo luogo condusse Antonio il Mosca fiorentino, intagliatore di marmi eccellentissimo, il quale allora lavorava, come si dirà nella sua vita, un camino di pietra agl’eredi di Pellegrino da Fossombrone, che per cosa d’intaglio riuscì opera divina. Costui, dico, a’ preghi d’Antonio si condusse a Loreto, dove