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in quella maniera che ha sempre fatto per l’adietro l’illustrissima casa de’ Medici, et ora fa più che mai, e nella maniera che fece il detto re Francesco veramente magnanimo. Matteo dunque, stando al servigio di questo re, fece non pure per sua maestà molte cose rare, ma quasi a tutti i più nobili signori e baroni di quella corte, non essendovi quasi niuno che non avesse (usandosi molto allora di portare cammei et altre simili gioie al collo e nelle berette) dell’opere sue. Fece al detto re una tavola per l’altare della capella di sua maestà, che si faceva portare in viaggio, tutta piena di figure d’oro, parte tonde e parte di mezzo rilievo, con molte gioie intagliate sparse per le membra delle dette figure. Incavò parimenti molti cristalli, gl’esempi de’ quali, in solfo e gesso, si veggiono in molti luoghi, ma particolarmente in Verona, dove sono tutti i pianeti bellissimi et una Venere con un Cupido che volta le spalle, il quale non può esser più bello. In un bellissimo calcidonio, stato trovato in un fiume, intagliò divinamente Matteo la testa d’una Deanira quasi tutta tonda con la spoglia del leone in testa e con la superficie lionata, et in un filo di color rosso, che era in quella pietra, accomodò Matteo nel fine della testa del lione il rovescio di quella pelle tanto bene, che pareva scorticata di fresco. In un’altra macchia accomodò i capegli, e nel bianco la faccia et il petto e tutto con mirabile magisterio. La quale testa ebbe insieme con l’altre cose il detto re Francesco. Et una impronta ne ha oggi in Verona il Zoppo orefice, che fu suo discepolo. Fu Matteo liberalissimo e di grande animo, in tanto che più tosto arebbe donato l’opere sue, che vendutele per vilissimo prezzo; perché, avendo fatto a un barone un cammeo d’importanza e volendo colui pagarlo una miseria, lo pregò strettamente Matteo che volesse accettarlo in cortesia; ma colui, non lo volendo in dono, e pur volendolo pagare piccolissimo prezzo, venne in collora Matteo, et in presenza di lui con un martello lo stiacciò. Fece Matteo per lo medesimo re molti cartoni per panni d’arazzo, e con essi, come volle il re, bisognò che andasse in Fiandra e tanto vi dimorasse che fussono tessuti di seta e d’oro. I quali finiti e condotti in Francia, furono tenuti cosa bellissima. Finalmente, come quasi tutti gl’uomini fanno, se ne tornò Matteo alla patria portando seco molte cose rare di que’ paesi, e particolarmente alcune tele di paesi fatte in Fiandra a olio et a guazzo, e lavorati da bonissime mani; le quali sono ancora per memoria di lui tenute in Verona molto care dal signor Luigi e signor Girolamo Stoppi. Tornato Matteo a Verona, si accomodò di stanza in una grotta cavata sotto un sasso, al quale è sopra il giardino de’ frati Gesuati; luogo che, oltre all’esser caldissimo il verno e molto fresco la state, ha una bellissima veduta. Ma non poté godersi Matteo questa stanza fatta a suo capriccio quanto arebbe voluto: perché liberato che fu dalla sua prigionia, il re Francesco mandò subito per uno a posta a richiamar Matteo in Francia, e pagargli la provisione eziandio del tempo che era stato in Verona. E giunto là, lo fece maestro de’ conii della zecca. Onde Matteo, presa moglie in Francia, s’accomodò, poiché così piacque al re suo signore, a vivere in que’ paesi. Della qual moglie ebbe alcuni figliuoli, ma a lui tanto dissimili, che n’ebbe poca contentezza. Fu Matteo così gentile e cortese, che chiunche capitava in Francia, non pure della sua