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le pietre dure e le gioie, la quale doppo le rovine di Grecia e di Roma ancora loro si perderono insieme con l’altre parti del disegno. Queste opere dello intagliare in cavo e di rilievo, se n’è visto giornalmente in Roma trovarsi spesso fra le rovine: cammei e corgniole, sardoni et altri eccellentissimi intagli, e molti e molti anni stette persa, che non si trovava chi vi attendesse; e se bene si faceva qualche cosa, non erono di maniera che se ne dovessi far conto, e per quanto se n’ha cognizione, non si trova che si cominciasse a far bene, e dar nel buono, se non nel tempo di papa Martino V e di Paolo II. Et andò crescendo di mano in mano per fino che ’l Magnifico Lorenzo de’ Medici, il quale si dilettò assai degli intagli de’ cammei antichi, e fra lui e Piero suo figliuolo ne ragunarono gran quantità, e massimamente calcidoni, corgniuole et altra sorte di pietre intagliate, rarissime, le quali erano con diverse fantasie dentro, che furono cagione che per metter l’arte nella loro città e’ conducessino di diversi paesi maestri che, oltra al rassettar loro queste pietre, gli condussono dell’altre cose rare in quel tempo. Imparò da questi, per mezzo del Magnifico Lorenzo, questa virtù dell’intaglio in cavo un giovane fiorentino chiamato Giovanni delle Corgniuole, il quale ebbe questo cognome perché le intagliò eccellentemente, come fa testimonio infinite che se ne veggono di suo, grandi e piccole, ma particolarmente una grande, dove egli fece dentro il ritratto di fra’ Girolamo Savonarola, nel suo tempo adorato in Fiorenza per le sue predicazioni, ch’era rarissimo intaglio. Fu suo concorrente Domenico de’ Cammei, milanese che, allora vivendo il duca Lodovico il Moro, lo ritrasse in cavo in un balascio della grandezza più d’un giulio, che fu cosa rara e de’ migliori intagli che si fusse visto de’ maestri moderni. Accrebbe poi in maggiore eccellenza questa arte nel pontificato di papa Leone Decimo, per la virtù et opere di Piermaria da Pescia, che fu grandissimo imitatore delle cose antiche. E gli fu concorrente Michelino, che valse non meno di lui nelle cose piccole e grandi, e fu tenuto un grazioso maestro. Costoro apersono la via a quest’arte tanto difficile, poi che intagliando in cavo, che è proprio un lavorare al buio, da che non serve ad altro che la cera per occhiali a vedere di mano in mano quel che si fa, ridussono finalmente che Giovanni da Castel Bolognese e Valerio Vicentino e Matteo dal Nasaro et altri facessino tante bell’opere che noi faremo memoria. E per dar principio dico che Giovanni Bernardi da Castel Bolognese, il quale nella sua giovanezza, stando appresso il duca Alfonso di Ferrara, gli fece, in tre anni che vi stette onoratamente, molte cose minute, delle quali non accade far menzione; ma di cose maggiori la prima fu che egli fece, in un pezzo di cristallo incavato, tutto il fatto d’arme della Bastia, che fu bellissimo; e poi in un incavo d’acciaio il ritratto di quel Duca, per far medaglie, e nel riverso Gesù Cristo preso dalle turbe. Dopo, andato a Roma, stimolato dal Giovio, per mezzo d’Ipolito cardinale de’ Medici e di Giovanni Salviati cardinale, ebbe commodità di ritrarre Clemente Settimo, onde ne fece un incavo per medaglie che fu bellissimo, e nel rovescio quando Ioseffo si manifestò a’ suoi fratelli. Di che fu da Sua Santità rimunerato col dono d’una mazza, che è un uffizio, del quale cavò poi al tempo di Paolo Terzo, vendendolo, dugento scudi. Al medesimo Clemente fece in quattro tondi di cristallo i