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è che le pietre scorniciate e le colonne così di pietra del fossato come quelle di marmo furono condotte con diligenza grandissima dagli scarpellini et intagliatori per cura di Giuliano, e dopo tanto ben murate, che non è possibile vedere le più belle commettiture, e quadre tutte. Nel che fare si può Giuliano celebrare per eccellentissimo; e quest’opera, come si dirà a suo luogo, fu finita in cinque mesi, con una aggiunta, da Giorgio Vasari aretino. Giuliano intanto, non lasciando la bottega, attendeva insieme con i fratelli a fare di molte opere di quadro e d’intaglio, et a far tirare inanzi il pavimento di Santa Maria del Fiore. Nel qual luogo, perché si trovava capomaestro et architettore, fu ricerco dal medesimo Bandinello di far piante in disegno e modelli di legno sopra alcune fantasie di figure et altri ornamenti, per condurre di marmo l’altar maggiore di detta Santa Maria del Fiore. Il che Giuliano fece volentieri, come buonaria persona e da bene, e come quello che tanto si dilettava dell’architettura, quanto la spregiava il Bandinello; essendo anco a ciò tirato dalle promesse d’utili e d’onori, che esso Bandinello largamente faceva. Giuliano dunque, messo mano al detto modello, lo ridusse assai conforme a quello che già era semplicemente stato ordinato dal Brunellesco, salvo che Giuliano lo fece più ricco, radoppiando con le colonne l’arco disopra, il quale condusse a fine. Essendo poi questo modello et insieme molti disegni portato dal Bandinello al duca Cosimo, sua eccellenza illustrissima si risolvé con animo regio a fare non pure l’altare, ma ancora l’ornamento di marmo, che va intorno al coro, secondo che faceva l’ordine vecchio a otto faccie, con quegli ornamenti ricchi con i quali è stato poi condotto, conforme alla grandezza e magnificenza di quel tempio. Onde Giuliano con l’intervento del Bandinello diede principio a detto coro; senza alterar altro che l’entrata principale di quello, la qual è dirimpetto al detto altare, e la quale egli volle che fusse a punto et avesse il medesimo arco et ornamento che il proprio altare. Fece parimente due altri archi simili, che vengono con l’entrata e l’altare a far croce; e questi per due pergami come aveva anco il vecchio, per la musica et altri bisogni del coro e dell’altare. Fece in questo coro Giuliano un ordine ionico attorno all’otto faccie; et in ogni angolo pose un pilastro che si ripiega la metà, et in ogni faccia uno; e perché diminuiva al punto ogni pilastro che voltava al centro, veniva di dentro strettissimo e ripiegato, e dalla banda di fuori acuto e largo. La quale invenzione non fu molto lodata, né approvata per cosa bella di chi ha giudizio, atteso che in un’opera di tanta spesa et in luogo così celebre, doveva il Bandinello, se non apprezzava egli l’architettura o non l’intendeva, servirsi di chi allora era vivo et arebbe saputo e potuto far meglio. Et in questo Giuliano merita scusa perché fece quello che seppe, che non fu poco, se bene è più che vero, che chi non ha disegno e grande invenzione da sé, sarà sempre povero di grazia, di perfezione e di giudizio ne’ componimenti grandi d’architettura; fece Giuliano un lettuccio di noce per Filippo Strozzi, che è oggi a Città di Castello in casa degl’eredi del signor Alessandro Vitelli, et un molto ricco e bel fornimento a una tavola che fece Giorgio Vasari all’altare maggiore della badia di Camaldoli, in Casentino, col disegno di