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altre cose che vengono da molti luoghi alla città. Era di parere, appresso, che si fabricassero, intorno intorno dalla parte di fuori, boteghe che riguardassero le dette piazze, le quali boteghe servissero solamente a cose da mangiare d’ogni sorte. In queste quattro facciate aveva il disegno di fra’ Iocondo quattro porte principali, cioè una per facciata posta nel mezzo e dirimpetto a corda all’altra. Ma prima che s’entrasse nella piazza di mezzo, entrando dentro, da ogni parte si trovava a man destra et a man sinistra una strada, la quale, girando intorno il quadro, aveva botteghe di qua e di là, on fabriche sopra bellissime e magazzini per servigio di dette botteghe, le quali tutte erano deputate alla drapperia, cioè panni di lana fini, et alla seta; le quali due sono le principali arti di quella città. Et insomma in questa entravano tutte le botteghe che sono dette de’ toscani e de’ setaiuoli. Da queste strade doppie di botteghe che sboccavano alle quattro porte, si doveva entrare nel mezzo di detta fabbrica, cioè in una grandissima piazza con belle e gran logge intorno intorno per commodo de’ mercanti e servizio de’ popoli infiniti, che in quella città, la quale è la dogana d’Italia, anzi d’Europa, per lor mercanzie e traffichi concorrono. Sotto le quali logge doveva essere intorno intorno le botteghe de’ banchieri, orefici e gioiellieri, e nel mezzo aveva a essere un bellissimo tempio dedicato a San Matteo, nel quale potessero la mattina i gentiluomini udire i divini uffizii: nondimeno dicono alcuni che, quanto a questo tempio, aveva fra’ Iocondo mutato proposito e che voleva farne due, ma sotto le logge perché non impedissero la piazza. Doveva oltre ciò questo superbissimo edifizio avere tanti altri comodi e bellezze et ornamenti particolari, che chi vede oggi il bellissimo disegno che di quello fece fra’ Iocondo, afferma che non si può imaginare, né rappresentar da qual si voglia più felice ingegno, o eccellentissimo artefice, alcuna cosa né più bella, né più magnifica, né più ordinata di questa. Si doveva anche, col parere del medesimo, per compimento di quest’opera, fare il ponte di Rialto di pietre e carico di botteghe, che sarebbe stato cosa maravigliosa. Ma che quest’opera non avesse effetto, due furono le cagioni: l’una il trovarsi la Republica, per le gravissime spese fatte in quella guerra, esausta di danari; e l’altra perché un gentiluomo, si dica di Ca’ Valereso grande in quel tempo e di molta autorità, forse per qualche interesse particolar, tolse a favorire, come uomo in questo di poco giudizio, un maestro Zamfragnino che, secondo mi vien detto, vive ancora, il quale l’aveva in sue particolari fabriche servito, il quale Zamfragnino (degno e conveniente nome dell’eccellenza del maestro) fece il disegno di quella marmaglia che fu poi messo in opera, e la quale oggi si vede. Della quale stolta elezzione molti che ancor vivono e benissimo se ne ricordano ancora si dogliono senza fine. Fra’ Iocondo, veduto quanto più possono molte volte appresso ai signori e grandi uomini i favori che i meriti, ebbe del veder preporre così sgangherato disegno al suo bellissimo tanto sdegno, che si partì di Vinezia, né mai più vi volle, ancor che molto ne fusse pregato, ritornare. Questo, con altri disegni di questo padre, rimasero in casa i Bragadini riscontro a Santa Marina et a frate Angelo di detta famiglia, frate di San Domenico, che poi fu, secondo i molti meriti suoi, vescovo di Vicenza. Fu fra’ Iocondo universale, e si dilettò, oltre le cose dette, de’ semplici e dell’agricoltura; onde racconta Messer