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lodar l’opere de’ maestri buoni, e particolarmente quelle di Raffaello e di Michelagnolo, disse l’animo e disiderio suo ai vecchi zii, ai quali parendo che non fusse cotal desiderio se non lodevole, dissero esser contenti, ma che sarebbe ben fatto che egli avesse portato seco qualche cosa di sua mano che gli facesse entratura a que’ signori et agl’artefici della professione; il qual consiglio non dispiacendo a Francesco, fece tre quadri, due piccoli et uno assai grande, nel quale fece la Nostra Donna col Figliuolo in collo che toglie di grembo a un Angelo alcuni frutti et un vecchio con le braccia piene di peli, fatto con arte e giudizio e vagamente colorito. Oltra ciò, per investigare le sottigliezze dell’arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso, guardandosi in uno specchio da barbieri, di que’ mezzo tondi. Nel che fare, vedendo quelle bizzarrie che fa la ritondità dello specchio, nel girare che fanno le travi de’ palchi, che torcono e le porte e tutti gl’edifizi che sfuggono stranamente, gli venne voglia di contrafare per suo capriccio ogni cosa. Laonde, fatta fare una palla di legno al tornio, e quella divisa per farla mezza tonda e di grandezza simile allo specchio, in quella si mise con grande arte a contrafare tutto quello che vedeva nello specchio e particolarmente se stesso tanto simile al naturale, che non si potrebbero stimare, né credere. E perché tutte le cose che s’appressano allo specchio crescono, e quelle che si allontanano diminuiscono, vi fece una mano che disegnava un poco grande, come mostrava lo specchio, tanto bella che pareva verissima; e perché Francesco era di bellissima aria et aveva il volto e l’aspetto grazioso molto e più tosto d’Angelo che d’uomo, pareva la sua effigie in quella palla una cosa divina. Anzi gli successe così felicemente tutta quell’opera, che il vero non istava altrimenti che il dipinto, essendo in quella il lustro del vetro, ogni segno di riflessione, l’ombre et i lumi sì propri e veri, che più non si sarebbe potuto sperare da umano ingegno. Finite queste opere, che furono non pure dai suo’ vecchi tenute rare, ma da molti altri che s’intendevano dell’arte, stupende e maravigliose, et incassato i quadri et il ritratto, accompagnato da uno de’ suoi zii, si condusse a Roma. Dove, avendo il datario veduti i quadri e stimatigli quello che erano, furono subito il giovane et il zio introdotti a papa Clemente, il quale vedute l’opere e Francesco così giovane, restò stupefatto e con esso tutta la corte. Appresso, Sua Santità, dopo avergli fatto molti favori, disse che voleva dare a dipignere a Francesco la sala de’ pontefici, della quale aveva già fatto Giovanni da Udine di stucchi e di pitture tutte le volte. Così dunque, avendo donato Francesco i quadri al Papa et avute, oltre alle promesse, alcune cortesie e doni, stimolato dalla gloria, dalle lodi che si sentiva dare e dall’utile che poteva sperare da tanto pontefice, fece un bellissimo quadro d’una Circoncisione, del quale fu tenuta cosa rarissima la invenzione, per tre lumi fantastichi che a quella pittura, servivano perché le prime figure erano alluminate dalla vampa del volto di Cristo, le seconde ricevevano lume da certi che, portando doni al sacrifizio, caminavano per certe scale con torce accese in mano, e l’ultime erano scoperte et illuminate dall’aurora, che mostrava un leggiadrissimo paese con infiniti casamenti. Il quale quadro finito, lo donò al Papa, che non fece di questo come degl’altri, perché avendo donato il quadro di Nostra Donna a Ipolito cardinale de’ Medici suo nipote, et il ritratto nello specchio a Messer Pietro