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giudicata bellissima; perché oltra l’istoria delle fanciulle che passano il Tevere, abbasso vicino alla porta è un sacrifizio fatto con industria et arte maravigliosa, par vedersi osservato quivi tutti gli instrumenti e tutti quegli antichi costumi, che a’ sacrifizii di quella sorte si solevano osservare. Vicino al Popolo, sotto S. Iacopo degli Incurabili, fecero una facciata con le storie d’Alessandro Magno ch’è tenute bellissima, nella quale figurarono il Nilo e ’l Tebro di Belvedere antichi. A San Simeone fecero la facciata de’ Gaddi, ch’è cosa di maraviglia e di stupore nel considerarvi dentro i belli e tanti varii abiti, l’infinità delle celate antiche, de’ soccinti, de’ calzari e delle barche, ornate con tanta leggiadria e copia d’ogni cosa, che imaginar si possa un sofistico ingegno. Quivi la memoria si carica di una infinità di cose bellissime, e quivi si rappresentano i modi antichi, l’effigie de’ savi e bellissime femmine, Perché vi sono tutte le spezie de’ sacrifizii antichi, come si costumavano, e da che s’imbarca uno essercito, a che combatte con variatissima foggia di strumenti e d’armi, lavorate con tanta grazia e condotte con tanta pratica, che l’occhio si smarrisce nella copia di tante belle invenzioni. Dirimpetto a questa è un’altra facciata minore, che di bellezza e di copia non potria migliorare, dov’è nel fregio la storia di Niobe quando si fa adorare e le genti che portano tributi e vasi e diverse sorti di doni; le quali cose con tanta novità, leggiadria, arte, ingegno e rilievo espresse egli in tutta questa opera, che troppo sarebbe certo narrarne il tutto. Seguitò appresso lo sdegno di Latona e la miserabile vendetta ne’ figliuoli della superbissima Niobe, e che i sette maschi da Febo e le sette femmine da Diana le sono ammazzati, con un’infinità di figure di bronzo che non di pittura, ma paiono di mettallo. E sopra, altre storie lavorate con alcuni vasi d’oro contrafatti con tante bizzarrie dentro, che occhio mortale non potrebbe imaginarsi altro, né più bello, né più nuovo, con alcuni elmi etrusci da rimaner confuso per la moltiplicazione e copia di sì belle e capricciose fantasie ch’uscivano loro de la mente. Le quali opere sono state imitate da infiniti che lavorano di sì fatt’opere. Fecero ancora il cortile di questa casa, e similmente la loggia, colorita di grotteschine picciole, che sono stimate divine. Insomma ciò che eglino toccarono, con grazia e bellezza infinita assoluto renderono. E s’io volessi nominare tutte l’opere loro, farei un libro intero de’ fatti di questi due soli, perché non è stanza, palazzo, giardino, né vigna, dove non siano opere di Polidoro e di Maturino. Ora, mentre che Roma ridendo s’abbelliva delle fatiche loro et essi aspettavano premio de’ proprii sudori, l’invidia e la fortuna mandarono a Roma Borbone, l’anno 1527, che quella città mise a sacco. Laonde fu divisa la compagnia non solo di Polidoro e di Maturino, ma di tanti migliaia d’amici e di parenti, che a un sol pane tanti anni erano stati in Roma. Perché Maturino si mise in fuga, né molto andò, che da’ disagi patiti per tale sacco, si stima a Roma che morisse di peste, e fu sepolto in S. Eustachio. Polidoro verso Napoli prese il camino, dove arivato, essendo quei gentiluomini poco curiosi delle cose eccellenti di pittura, fu per morirvisi di fame. Onde egli lavorando a opere per alcuni pittori, fece in S. Maria della Grazia un San Pietro nella maggior cappella; e così aiutò in molte cose que’ pittori, più per campare la vita, che per altro. Ma pure essendo predicato le virtù sue, fece al conte di... una volta dipinta a tempera, con alcune facciate, ch’è tenuta cosa bellissima.