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l’inclinazione di Polidoro molto volta alla pittura, non restò di far sì ch’egli prese dimestichezza con tutti quei giovani che erano valenti, per veder i tratti et i modi dell’arte e mettersi a disegnar. Ma fra gl’altri, s’elesse per compagno Maturino fiorentino, allora nella cappella del papa, et alle anticaglie tenuto bonissimo disegnatore. Col quale praticando, talmente di quest’arte invaghì, che in pochi mesi fé cose (fatta prova del suo ingegno) che ne stupì ogni persona che lo aveva già conosciuto in quell’altro stato. Per la qual cosa, seguitandosi le logge, egli sì gagliardamente si essercitò con quei giovani pittori; che erano pratichi e dotti nella pittura, e sì divinamente apprese quella arte, che egli non si partì di su quel lavoro senza portarsene la vera gloria del più bello e più nobile ingegno, che fra tanti si ritrovasse. Per il che crebbe talmente l’amor di Maturino a Polidoro e di Polidoro a Maturino, che deliberarono come fratelli e veri compagni, vivere insieme e morire. E rimescolato le volontà, i danari e l’opere, di comune concordia si misero unitamente a lavorare insieme. E perché erano in Roma pur molti che di grado, d’opere e di nome i coloriti loro conducevano più vivaci et allegri, e di favori più degni e più sortiti, cominciò a entrargli nell’animo, avendo Baldassarre Sanese fatto alcune facce di case di chiaro scuro, d’imitar quell’andare et a quelle, già venute in usanza, attendere da indi innanzi. Per che ne cominciarono una a Monte Cavallo dirimpetto a S. Salvestro in compagnia di Pellegrino da Modena, la quale diede loro animo di poter tentare se quello dovesse essere il loro essercizio; e ne seguitarono dirimpetto alla porta del fianco di S. Salvatore del Lauro un’altra; e similmente fecero da la porta del fianco della Minerva un’istoria, e di sopra S. Rocco a Ripetta un’altra, che è uno fregio di mostri marini. E ne dipinsero infinite in questo principio, manco buone dell’altre, per tutta Roma, che non accade qui raccontarle per avere eglino poi in tal cosa operato meglio. Laonde, inanimiti di ciò, cominciarono sì a studiare le cose dell’antichità di Roma, ch’eglino contraffacendo le cose di marmo antiche ne’ chiari e scuri loro, non restò vaso, statue, pili, storie né cosa intera o rotta, ch’eglino non disegnassero e di quella non si servissero. E tanto con frequentazione e voglia, a tal cosa posero il pensiero, che unitamente presero la maniera antica e tanto l’una simile all’altra, che sì come gl’animi loro erano d’uno istesso volere, così le mani ancora esprimevano il medesimo sapere. E benché Maturino non fosse quanto Polidoro aiutato dalla natura, poté tanto l’osservanza dello stile nella compagnia, che l’uno e l’altro pareva il medesimo, dove poneva ciascuno la mano, di componimenti, d’aria e di maniera. Fecero su la piazza di Capranica per andar in Colonna, una facciata con le virtù teologiche et un fregio sotto le finestre, con bellissima invenzione, una Roma vestita, e per la fede figurata col calice e con l’ostia in mano aver prigione tutte le nazioni del mondo, e concorrere tutti i popoli a portarle i tributi, et i Turchi all’ultima fine distrutti, saetare l’arca di Macometto, conchiudendo finalmente col detto della scrittura, che sarà un ovile et un pastore. E nel vero eglino d’invenzione non ebbero pari; di che ne fanno fede tutte le cose loro, cariche di abbigliamenti, vesti, calzari, strane bizzarrie, e con infinita maraviglia condotte. Et ancora ne rendono testimonio le cose loro, da tutti i forestieri pittori disegnate sì di continuo, che per utilità