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in Bologna per la incoronazione di Carlo Quinto, dove aveva fatto per quello apparato gl’ornamenti della porta di S. Petronio, fu in tanta considerazione, per essere il primo che introducesse il buon modo di fare ritratti di naturale, in forma di medaglie, come si è detto, che non fu alcun grande uomo in quelle corti per lo quale egli non lavorasse alcuna cosa, con suo molto utile et onore. Ma non si contentando della gloria et utile che gli veniva dal fare opere di terra, di cera e di stucco, si mise a lavorar di marmo et acquistò tanto in alcune cose di non molta importanza che fece, che gli fu dato a lavorare in San Michele in Bosco fuori di Bologna la sepoltura di Ramazzotto, la quale gli acquistò grandissimo onore e fama. Dopo la quale opera, fece nella medesima città alcune storiette di marmo di mezzo rilievo all’arca di San Domenico nella predella dell’altare. Fece similmente per la porta di San Petronio in alcune storiette di marmo a man sinistra, entrando in chiesa, la Resurrezzione di Cristo, molto bella. Ma quello che ai Bolognesi piacque sommamente fu la morte di Nostra Donna in figure tonde di mistura e di stucco molto forte, nello spedale della Vita, nella stanza di sopra. Nella quale opera è fra l’altre cose maraviglioso il giudeo, che lascia appiccate le mani al cataletto della Madonna. Fece anco della medesima mistura nel palazzo publico di quella città, nella sala di sopra del governatore, un Ercole grande che ha sotto l’Idra morta. La quale statua fu fatta a concorrenza di Zacheria da Volterra, il quale fu di molto superato dalla virtù et eccellenza d’Alfonso. Alla Madonna del Baracane fece il medesimo due Angeli di stucco, che tengono un padiglione di mezzo rilievo; et in San Giuseppo nella nave di mezzo fra un arco e l’altro fece di terra in alcuni tondi i dodici Apostoli dal mezzo in su di tondo rilievo. Di terra parimente fece nella medesima città nei cantoni della volta della Madonna del Popolo, quattro figure maggiori del vivo; cioè S. Petronio, San Procolo, San Francesco e San Domenico, che sono figure bellissime e di gran maniera. Di mano del medesimo sono alcune cose pur di stucco a Castel Bolognese, et alcune altre in Cesena nella Compagnia di San Giovanni. Né si maravigli alcuno se in sin qui non si è ragionato che costui lavorasse quasi altro che terra, cera e stucchi e pochissimo di marmo, perché oltre che Alfonso fu sempre in questa maniera di lavori inclinato, passata una certa età, essendo assai bello di persona e d’aspetto giovinile, esercitò l’arte più per piacere e per una certa vanagloria, che per voglia di mettersi a scarpellare sassi. Usò sempre di portare alle braccia et al collo e ne’ vestimenti, ornamenti d’oro et altre frascherie, che lo dimostravano più tosto uomo di corte lascivo e vano che artefice desideroso di gloria. E nel vero quanto risplendono cotali ornamenti in coloro ai quali per ricchezze, stati e nobiltà di sangue non disconvengono, tanto sono degni di biasimo negl’artefici et altre persone, che non deono, chi per un rispetto e chi per un altro, agguagliarsi a gl’uomini ricchissimi; perciò che in cambio d’esserne questi cotali lodati, sono dagl’uomini di giudizio meno stimati e molte volte scherniti. Alfonso dunque invaghito di se medesimo et usando termini e lascivie poco convenienti a virtuoso artefice, si levò con sì fatti costumi alcuna volta, tutta quella gloria che gl’aveva acquistato l’affaticarsi nel suo mestiero; perciò che trovandosi una sera