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ogni opera perché volentieri stesse seco, promettendo che niuna cosa gli mancherebbe. E questo perché gli piaceva nell’operare d’Andrea la prestezza et il procedere di quell’uomo che si contentava d’ogni cosa; oltre ciò, sodisfacendo molto a tutta la corte, fece molti quadri e molte opere; e se egli avesse considerato donde si era partito e dove la sorte l’aveva condotto, non ha dubbio che sarebbe salito (lasciamo stare le ricchezze) a onoratissimo grado. Ma essendogli un giorno, che lavorava per la madre del re un San Girolamo in penitenza, venuto alcune lettere da Fiorenza, le quali gli scriveva la moglie, cominciò (qualunque si fusse la cagione) a pensare di partirsi. Chiese dunque licenza al re, dicendo di volere andare a Firenze e che, accommodate alcune sue faccende, tornerebbe a Sua Maestà per ogni modo e che per starvi più riposato menarebbe seco la moglie, et al ritorno suo porterebbe pitture e sculture di pregio. Il re, fidandosi di lui, gli diede per ciò danari, et Andrea giurò sopra il Vangelo di ritornare a lui fra pochi mesi. E così arrivato a Fiorenza felicemente, si godé la sua bella donna parecchi mesi e gl’amici e la città. Finalmente, passando il termine in fra ’l quale doveva ritornare al re, egli si trovò in ultimo, fra in murare e darsi piacere e non lavorare, aver consumati i suoi danari e quelli del re parimente. Ma nondimeno volendo egli tornare, potettero più in lui i pianti e i preghi della sua donna che il proprio bisogno e la fede promessa al re. Onde, non essendo (per compiacere alla donna) tornato, il re ne prese tanto sdegno, che mai più con diritto occhio non volle vedere per molto tempo pittori fiorentini; e giurò che se mai gli fusse capitato Andrea alle mani, più dispiacere che piacere gli arebbe fatto, senza avere punto di riguardo alla virtù di quello. Così Andrea restato in Fiorenza e da uno altissimo grado venuto a uno infimo, si tratteneva e passava tempo, come poteva il meglio. Nella sua partita per Francia avevano gl’uomini dello Scalzo, pensando che non dovesse mai più tornare, allogato tutto il restante dell’opera del cortile al Francia Bigio, che già vi aveva fatto due storie; quando vedendo Andrea tornato in Firenze fecero che egli rimise mano all’opera, e seguitando vi fece quattro storie, l’una a canto all’altra. Nella prima è San Giovanni preso dinanzi a Erode; nell’altra è la cena et il ballo d’Erodiana, con figure molto accomodate et a proposito; nella terza è la decollazione di esso San Giovanni, nella quale il maestro della iustizia mezzo ignudo è figura molto eccellentemente disegnata, sì come sono anco tutte l’altre; nella quarta Erodiana presenta la testa, et in questa sono alcune figure che si maravigliano, fatte con bellissima considerazione; le quali storie sono state un tempo lo studio e la scuola di molti giovani che oggi sono eccellenti in queste arti. Fece in sul canto che fuor della porta a Pinti voltava per andare agl’Ingesuati, in un tabernacolo a fresco una Nostra Donna a sedere con un Putto in collo et un San Giovanni fanciullo che ride, fatto con arte grandissima e lavorato così perfettamente, che è molto stimato per la bellezza e vivezza sua; e la testa della Nostra Donna è il ritratto della sua moglie di naturale. Il quale tabernacolo, per la incredibile bellezza di questa pittura, che è veramente maravigliosa, fu lasciato in piedi, quando l’anno 1530 per l’assedio di Fiorenza fu rovinato il detto convento degl’Ingesuati et