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hiarì tutti coloro i quali, pensando che dovesse passare il cielo, non lo videro pur aggiugnere al palco degl’ultimi solari delle case. Perciò che veggendo i pittori di Roma la incoronazione di Nostra Donna, che egli aveva fatto in quell’opera con alcuni fanciulli volanti, cambiarono la maraviglia in riso. E da questo si può conoscere, che quando i popoli cominciano ad inalzare col grido alcuni più eccellenti nel nome che nei fatti, è difficile cosa potere, ancora che a ragione, abbattergli con le parole, insino a che l’opere stesse contrarie in tutto a quella credenza non discuoprono quello che coloro tanto celebrati sono veramente. Et è questo certissimo, che il maggior danno che agl’altri uomini facciano gl’uomini, sono le lodi che si dànno troppo presto agli ingegni che si affaticano nell’operare, perché facendo cotali lodi coloro gonfiare acerbi, non gli lasciano andare più avanti, e coloro tanto lodati, quando non riescono l’opere di quella bontà che si aspettavano, accorandosi di quel biasimo, si disperano al tutto di potere mai più bene operare; laonde coloro che savi sono deono assai più temere le lodi che il biasimo: perché quelle adulando ingannano, e questo, scoprendo il vero, insegna. Partendosi addunque Boccaccino di Roma per sentirsi da tutte le parti trafitto e lacero, se ne tornò a Cremona, e quivi il meglio che seppe, e poté, continuò d’essercitar la pittura; e dipinse nel Duomo, sopra gl’archi di mezzo, tutte le storie della Madonna, la quale opera è molto stimata in quella città; fece anco altre opere e per la città e fuori, delle quali non accade far menzione. Insegnò costui l’arte a un suo figliuolo, chiamato Camillo, il quale attendendo con più studio all’arte s’ingegnò di rimediare dove aveva mancato la vanagloria di Boccaccino. Di mano di questo Camillo sono alcune opere in San Gismondo lontano da Cremona un miglio, le quali dai cremonesi sono stimate la miglior pittura che abbiano; fece ancora in piazza nella facciata d’una casa et in Santa Agata tutti i parimenti delle volte et alcune tavole e la facciata di Santo Antonio con altre cose, che lo fecero conoscere per molto pratico. E se la morte non l’avesse anzi tempo levato del mondo, averebbe fatto onoratissima riuscita, perché caminava per buona via. Ma quelle opere nondimeno che ci ha lasciate meritano che di lui si faccia memoria. Ma tornando a Boccaccino, senza aver mai fatto alcun miglioramento nell’arte, passò di questa vita d’anni 58. Ne’ tempi di costui fu in Milano un miniatore assai valente chiamato Girolamo, di mano del quale si veggiono assai opere e quivi et in tutta Lombardia. Fu similmente milanese, e quasi ne’ medesimi tempi, Bernardino del Lupino, pittore dilicatissimo e molto vago, come si può vedere in molte opere che sono di sua mano in quella città et a Sarone, luogo lontano da quella 12 miglia, in uno sposalizio di Nostra Donna et in altre storie che sono nella chiesa di Santa Maria, fatte in fresco perfettissimamente. Lavorò anco a olio molto pulitamente e fu persona cortese et amorevole molto delle cose sue: onde se gli convengono meritamente tutte quelle lodi che si deono a qualunche artefice che con l’ornamento della cortesia fa non meno risplendere l’opere et i costumi della vita, che con l’essere eccellente quelle dell’arte.