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alla Croce, dove abitava quasi di continuo il generale di quell’Ordine che faceva far l’opera. Benedetto dunque condusse di maniera questa cappella e sepoltura, che fece stupire Fiorenza. Ma come volle la sorte (essendo anco i marmi e l’opere egregie degl’uomini eccellenti sottoposte alla fortuna) essendosi fra que’ monaci, dopo molte discordie, mutato governo, si rimase nel medesimo luogo quell’opera imperfetta insino al 1530. Nel qual tempo, essendo la guerra intorno a Fiorenza, furono da e’ soldati guaste tante fatiche e quelle teste lavorate con tanta diligenza spiccate empiamente da quelle figurine et in modo rovinato e spezzato ogni cosa, che que’ monaci hanno poi venduto il rimanente per piccolissimo prezzo. E chi ne vuole veder una parte, vada nell’Opera di Santa Maria del Fiore, dove ne sono alcuni pezzi stati comperi per marmi rotti, non sono molti anni, dai ministri di quel luogo. E nel vero sì come si conduce ogni cosa a buon fine in que’ monasteri e luoghi dove è la concordia e la pace, così per lo contrario dove non è se non ambizione e discordia, niuna cosa si conduce mai a perfezzione, né a lodato fine; perché quanto acconcia un buono e savio in cento anni, tanto rovina un ignorante villano e pazzo in un giorno. E pare che la sorte voglia, che bene spesso coloro che manco sanno e di niuna cosa virtuosa si dilettano, siano sempre quelli che comandino e governino, anzi rovinino ogni cosa; sì come anco disse de’ principi secolari non meno dottamente che con verità l’Ariosto nel principio del XVII canto. Ma tornando a Benedetto, fu peccato grandissimo che tante sue fatiche e spese di quella Religione siano così sgraziatamente capitate male. Fu ordine et architettura del medesimo la porta e vestibulo della Badia di Firenze, e parimente alcune cappelle, et infra l’altre quella di Santo Stefano, fatta dalla famiglia de’ Pandolfini. Fu ultimamente Benedetto condotto in Inghilterra a’ servigi del re, al quale fece molti lavori di marmo e di bronzo, e particolarmente la sua sepoltura, delle quali opere, per la liberalità di quel re, cavò da poter vivere il rimanente della vita acconciamente; per che tornato a Firenze, dopo aver finito alcune piccole cose, le vertigini, che insino in Inghilterra gl’avevano cominciato a dar noia a gl’occhi, et altri impedimenti causati, come si disse, dallo star troppo intorno al fuoco a fondere i metalli, o pure d’altre cagioni, gli levarono in poco tempo del tutto il lume degl’occhi. Onde restò di lavorare intorno all’anno 1550 e di vivere pochi anni dopo. Portò Beneddetto con buona e cristiana pacienza quella cecità negl’ultimi anni della sua vita, ringraziando Dio che prima gl’aveva proveduto, mediante le sue fatiche, da poter vivere onestamente. Fu Benedetto cortese e galantuomo e si dilettò sempre di praticare con uomini virtuosi. Il suo ritratto si è cavato da uno che fu fatto quando egli era giovine, da Agnolo di Donino. Il quale proprio è in sul nostro libro de’ disegni, dove sono anco alcune carte di mano di Benedetto molto ben disegnate. Il quale per queste opere merita di essere fra questi eccellenti artefici annoverato.