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dice di Giotto, disegnava tutto giorno nel sabbione e ritraeva di terra qualcuna delle bestie che guardava. Onde avvenne che, passando un giorno dove costui si stava guardando le sue bestiuole, un cittadino fiorentino, il quale dicono essere stato Simone Vespucci, podestà allora del Monte, che egli vide questo putto starsi tutto intento a disegnare o formare di terra; per che chiamatolo a sé, poi che ebbe veduta l’inclinazione del putto et inteso di cui fusse figliuolo, lo chiese a Domenico Contucci e da lui l’ottenne graziosamente, promettendo di volerlo far attendere agli studii del disegno, per vedere quanto potesse quella inclinazione naturale aiutata dal continuo studio. Tornato dunque Simone a Firenze, lo pose all’arte con Antonio del Pollaiuolo, appresso al quale imparò tanto Andrea, che in pochi anni divenne bonissimo maestro. Et in casa del detto Simone al ponte Vecchio si vede ancora un cartone da lui lavorato in quel tempo, dove Cristo è battuto alla colonna, condotto con molta diligenza, et oltre ciò due teste di terra cotta mirabili, ritratte da medaglie antiche: l’una è di Nerone, l’altra di Galba imperatori; le quali teste servivano per ornamento d’un camino; ma il Galba è oggi in Arezzo nelle case di Giorgio Vasari. Fece dopo, standosi pure in Firenze, una tavola di terra cotta, per la chiesa di Santa Agata del Monte Sansovino, con un San Lorenzo et alcuni altri Santi, e picciole storiette benissimo lavorate. Et indi a non molto ne fece un’altra simile, dentrovi l’Assunzione di Nostra Donna, molto bella, Santa Agata, Santa Lucia e San Romualdo, la quale tavola fu poi invetriata da quegli Della Robbia. Seguitando poi l’arte della scultura, fece nella sua giovanezza per Simone Pollaiuolo, altrimenti il Cronaca, due capitelli di pilastri per la sagrestia di Santo Spirito, che gl’acquistarono grandissima fama e furono cagione che gli fu dato a fare il ricetto, che è fra la detta sagrestia e la chiesa; e perché il luogo era stretto, bisognò che Andrea andasse molto ghiribizzando. Vi fece dunque di macigno un componimento d’ordine corinto, con dodici colonne tonde, cioè sei da ogni banda; e sopra le colonne posto l’architrave, fregio e cornice, fece una volta a botte, tutta della medesima pietra, con uno spartimento pieno d’intagli, che fu cosa nuova, varia, ricca e molto lodata. Ben è vero che se il detto spartimento della volta fusse ne’ diritti delle colonne venuto a cascare con le cornici, che vanno facendo divisione intorno ai quadri e tondi che ornano quello spartimento con più giusta misura e proporzione, questa opera sarebbe in tutte le parti perfettissima e sarebbe stato cosa agevole il ciò fare. Ma secondo che io già intesi da certi vecchi amici d’Andrea, egli si difendeva con dire l’avere osservato nella volta il modo del partimento della Ritonda di Roma, dove le costole, che si partono dal tondo del mezzo di sopra, cioè dove ha il lume quel tempio, fanno dall’una all’altra i quadri degli sfondati dei rosoni, che a poco a poco diminuiscono, et il medesimo fa la costola, perché non casca in su la dirittura delle colonne. Aggiugneva Andrea, se chi fece quel tempio della Ritonda, che è il meglio inteso e misurato che sia e fatto con più proporzione, non tenne di ciò conto in una volta di maggior grandezza e di tanta importanza, molto meno dovea tenerne egli in uno spartimento di sfondati minori. Nondimeno molti artefici, e particolarmente Michelagnolo Buonarotti, sono stati d’opinione che la ritonda fusse fatta da tre architetti e