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tiene lo spazio di sette quadri da ciascun lato che trattano delle guerre di Pisa e di Siena. I quali spartimenti delle facciate sono tanto grandi che non si sono anco veduti maggiori spazii per fare istorie di pitture, né dagl’antichi, né dai moderni. E sono i detti spartimenti ornati di pietre grandissime, le quali si congiungono alle teste della sala, dove da una parte, cioè verso tramontana, ha fatto finire il signor Duca, secondo che era stata cominciata e condotta a buon termine da Baccio Bandinelli, una facciata piena di colonne e pilastri e di nicchie piene di statue di marmo, il quale appartamento ha da servire per udienza publica, come a suo luogo si dirà. Dall’altra banda dirimpetto a questa, ha da esser in un’altra simile facciata, che si fa dall’Amannato, scultore et architetto, una fonte che getti acqua nella sala, con ricco e bellissimo ornamento di colonne e di statue di marmo e di bronzo. Non tacerò che per essersi alzato il tetto di questa sala dodici braccia, ella n’ha acquistato non solamente sfogo, ma lumi assaissimi, perciò che oltre gl’altri, che sono più in alto, in ciascuna di queste testate vanno tre grandissime finestre, che verranno col piano sopra un corridore, che fa loggia dentro la sala e da un lato, sopra l’opera del Bandinello, donde si scoprirà tutta la piazza con bellissima veduta. Ma di questa sala e degli altri acconcimi che in questo palazzo si sono fatti e fanno si ragionerà in altro luogo più lungamente. Questo per ora dirò io, che, se il Cronaca e quegli altri ingegnosi artefici che dettono il disegno di questa sala potessino ritornar vivi, per mio credere non riconoscerebbero né il palazzo, né la sala, né cosa che vi sia; la qual sala, cioè quella parte che è in isquadra, è lunga braccia novanta e larga braccia trentotto, senza l’opere del Bandinello e dell’Amannato. Ma tornando al Cronaca, ne gl’ultimi anni della sua vita, eragli entrato nel capo tanta frenesia delle cose di fra’ Girolamo Savonarola che altro che di quelle sue cose non voleva ragionare. E così vivendo, finalmente d’anni LV d’una infirmità assai lunga si morì. E fu onoratamente sepolto nella chiesa di Santo Ambruogio di Fiorenza nel MDIX, e non dopo lungo spazio di tempo gli fu fatto questo epitaffio da Messer Giovanbattista Strozzi:

CRONACA

Vivo, e mille, e mille anni, e mille ancora mercé de’ vivi miei palazzi e tempi bella Roma vivrà l’alma mia Flora.

Ebbe il Cronaca un fratello chiamato Matteo, che attese alla scultura e stette con Antonio Rossellino scultore, et ancor che fusse di bello e buono ingegno, disegnasse bene et avesse buona pratica ne lavorare di marmo, non lasciò alcuna opera finita perché, togliendolo al mondo la morte d’anni XIX, non poté adempiere quello che di lui, chiunque lo conobbe, si prometteva.