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tutte piene di senso e di affetto, e lavorate con disegno bonissimo e di colorito vago e graziato. Ma finita oramai la volta, cioè il cielo di quella stanza, resta che noi raccontiamo quello che e’ fece faccia per faccia appiè delle cose dette di sopra. Nella facciata dunque di verso Belvedere, dove è il monte Parnaso e il fonte di Elicona, fece intorno a quel monte una selva onbrosissima di lauri, ne’ quali si conosce per la loro verdezza quasi il tremolare delle foglie per l’aure dolcissime e nella aria una infinità di Amori ignudi con bellissime arie di viso, che colgono rami di lauro e ne fanno ghirlande, e quelle spargano e gettano per il monte; nel quale pare che spiri veramente un fiato di divinità nella bellezza delle figure e da la nobiltà di quella pittura, la quale fa maravigliare chi intensissimamente la considera, come possa ingegno umano con l’imperfezzione di semplici colori ridurre con l’eccellenzia del disegno le cose di pittura a parere vive, sì come sono anco vivissimi que’ poeti che si veggono sparsi per il monte, chi ritti, chi a sedere e chi scrivendo, altri ragionando et altri cantando o favoleggiando insieme, a quattro, a sei, secondo che gli è parso di scompartirgli. Sonvi ritratti di naturale tutti i più famosi et antichi e moderni poeti che furono e che erano fino al suo tempo, i quali furono cavati parte da statue, parte da medaglie e molti da pitture vecchie et ancora di naturale mentre che erano vivi da lui medesimo. E, per cominciarmi da un capo, quivi è Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio et Omero che, cieco con la testa elevata cantando versi, ha a’ piedi uno che gli scrive; vi sono poi tutte in un gruppo le nove Muse et Appollo con tanta bellezza d’arie e divinità nelle figure, che grazia e vita spirano ne’ fiati loro. Èvvi la dotta Saffo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono; il Tibaldeo similmente et infiniti altri moderni. La quale istoria è fatta con molta grazia e finita con diligenza. Fece in un’altra parete un cielo con Cristo e la Nostra Donna, San Giovanni Batista, gli Apostoli e gli Evangelisti e Martiri su le nugole con Dio Padre, che sopra tutti manda lo Spirito Santo e massimamente sopra un numero infinito di Santi, che sotto scrivono la Messa; e sopra l’Ostia, che è sullo altare, disputano. Fra i quali sono i quattro Dottori della chiesa, che intorno hanno infiniti santi. Èvvi Domenico, Francesco, Tomaso d’Aquino, Buonaventura, Scoto, Nicolò de Lira, Dante, fra’ Girolamo Savonarola da Ferrara e tutti i teologi cristiani et infiniti ritratti di naturale; et in aria sono quattro fanciulli che tengono aperti gli Evangeli. Dalle quali figure non potrebbe pittore alcuno formar cosa più leggiadra, né di maggior perfezzione. Avvenga che nell’aria et in cerchio son figurati que’ Santi a sedere, che nel vero, oltra al parer vivi di colori, scortano di maniera e sfuggono che non altrimenti farebbono se fussino di rilievo. Oltra che sono vestiti diversamente, con bellissime pieghe di panni e l’arie delle teste più celesti che umane, come si vede in quella di Cristo, la quale mostra quella clemenza e quella pietà che può mostrare agli uomini mortali divinità di cosa dipinta. Conciò fusse che Raffaello ebbe questo dono dalla natura di far l’arie sue delle teste dolcissime e graziosissime, come ancora ne fa fede la Nostra Donna che, messesi le mani al petto, guardando e contemplando il Figliuolo, pare che non possa dinegar grazia; senza che egli riservò un decoro certo bellissimo, mostrando nell’arie de’