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più e meno eccellenti nella pittura. Prima che partisse di Perugia, lo pregò madonna Atlanta Baglioni che egli volesse farle per la sua cappella nella chiesa di San Francesco una tavola, ma, perché egli non poté servirla allora, le promise che tornato che fusse da Firenze, dove allora per suoi bisogni era forzato d’andare, non le mancherebbe. E così venuto a Firenze, dove attese con incredibile fatica agli studi dell’arte, fece il cartone per la detta cappella con animo d’andare, come fece quanto prima gli venisse in acconcio, a metterlo in opera. Dimorando, adunque, in Fiorenza Agnolo Doni, il quale quanto era assegnato nell’altre cose tanto spendeva volentieri, ma con più risparmio che poteva, nelle cose di pittura e di scultura, delle quali si dilettava molto, gli fece fare il ritratto di sé e della sua donna in quella maniera che si veggiono appresso Giovanbatista, suo figliuolo, nella casa che detto Agnolo edificò bella e comodissima in Firenze nel corso de’ Tintori, appresso al canto degl’Alberti. Fece anco a Domenico Canigiani in un quadro la Nostra Donna con il putto Gesù che fa festa a un San Giovannino portogli da Santa Elisabetta che mentre lo sostiene con prontezza vivissima guarda un San Giuseppo, il quale standosi appoggiato con ambe le mani a un bastone china la testa verso quella vecchia, quasi maravigliandosi e lodandone la grandezza di Dio che così attempata avesse un sì picciol figliuolo. E tutti pare che stupischino del vedere con quanto senno in quella età sì tenera i due cugini, l’uno reverente all’altro, si fanno festa; senza che ogni colpo di colore nelle teste, nelle mani e ne’ piedi sono anzi pennellate di carne che tinta di maestro che faccia quell’arte. Questa nobilissima pittura è oggi appresso gl’eredi del detto Domenico Canigiani, che la tengono in quella stima che merita un’opera di Raffaello da Urbino. Studiò questo eccellentissimo pittore nella città di Firenze le cose vecchie di Masaccio, e quelle che vide nei lavori di Lionardo e di Michelagnolo lo feciono attendere maggiormente agli studi e per conseguenza acquistarne miglioramento straordinario all’arte et alla sua maniera. Ebbe oltre gl’altri, mentre stette Raffaello in Fiorenza, stretta dimestichezza con fra’ Bartolomeo di San Marco, piacendogli molto e cercando assai d’imitare il suo colorire, et all’incontro insegnò a quel buon padre i modi della prospettiva, alla quale non aveva il frate atteso insino a quel tempo. Ma in sulla maggior frequenza di questa pratica fu richiamato Raffaello a Perugia, dove primieramente in San Francesco finì l’opera della già detta madonna Atalanta Baglioni, della quale aveva fatto, come si è detto, il cartone in Fiorenza. E in questa divinissima pittura un Cristo morto portato a sotterrare, condotto con tanta freschezza e sì fatto amore, che a vederlo pare fatto pur ora. Immaginossi Raffaello nel componimento di questa opera il dolore che hanno i più stretti et amorevoli parenti nel riporre il corpo d’alcuna più cara persona, nella quale veramente consista il bene, l’onore e l’utile di tutta una famiglia: vi si vede la Nostra Donna venuta meno, e le teste di tutte le figure molto graziose nel pianto e quella particolarmente di San Giovanni, il quale, incrocicchiate le mani, china la testa con una maniera da far comuovere qual è più duro animo a pietà. E di vero chi considera la diligenza, l’amore, l’arte e la grazia di quest’opera, ha gran ragione di maravigliarsi perché ella fa stupire chiunque la mira per l’aria delle figure, per la bellezza de’ panni et insomma per una estrema bontà