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in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e ’l doloro come potette il meglio. Dopo, avendosi a ricoprire la chiesa della Madonna di Loreto e voltare la cupola, già stata cominciata e non finita da Giuliano da Maiano, dubitavano coloro che di ciò avevano la cura, che la debolezza de’ pilastri non reggesse così gran peso; per che scrivendo a Giuliano che, se voleva, tale opera andasse a vedere, egli come animoso e valente andò e mostrò con facilità quella poter voltarsi e che a ciò gli bastava l’animo; e tante e tali ragioni allegò loro che l’opera gli fu allogata. Dopo la quale allogazione fece spedire l’opera di Prato e coi medesimi maestri muratori e scarpellini a Loreto si condusse. E perché tale opra avesse fermezza nelle pietre, e saldezza e forma e stabilità e facesse legazione, mandò a Roma per la pozzolana; né calce fu che con essa non fosse temperata e murata ogni pietra; e così in termine di tre anni quella finita e libera rimase perfetta. Andò poi a Roma, dove a papa Alessandro vi restaurò il tetto di Santa Maria Maggiore, che ruinava; e vi fece quel palco ch’al presente si vede. Così nel praticare per la corte il vescovo della Rovere, fatto cardinale di San Pietro in Vincola, già amico di Giuliano fin quando era castellano d’Ostia, gli fece fare il modello del palazzo di S. Pietro in Vincola. E poco dopo questo, volendo edificare a Savona sua patria un palazzo, volle farlo similmente col disegno e con la presenzia di Giuliano. La quale andata gli era difficile, perciò che il palco non era ancor finito e papa Alessandro non voleva ch’e’ partisse. Per il che lo fece finire per Antonio suo fratello, il quale, per avere ingegno buono e versatile, nel praticare la corte contrasse servitù col Papa, che gli mise grandissimo amore e glielo mostrò nel volere fondare e rifondare con le difese a uso di castello, la Mole di Adriano, oggi detta Castel Santo Agnolo; alla quale impresa fu preposto Antonio. Così si fecero i torrioni da basso, i fossi e l’altre fortificazioni che al presente veggiamo. La quale opera gli diè credito grande appresso il Papa e col duca Valentino, suo figliuolo; e fu cagione ch’egli facesse la rocca che si vede oggi a Civita Castellana. E così, mentre quel Pontefice visse, egli di continuo attese a fabbricare, e per esso lavorando fu non meno premiato che stimato da lui. Già aveva Giuliano a Savona condotto l’opera innanzi quando il cardinale, per alcuno suoi bisogni, ritornò a Roma e lasciò molti Operai ch’alla fabbrica dessero perfezzione con l’ordine e col disegno di Giuliano, il quale ne menò seco a Roma et egli fece volentieri questo viaggio per rivedere Antonio e l’opere d’esso, dove dimorò alcuni mesi. Ma venendo in quel tempo il cardinale in disgrazia del Papa, si partì da Roma per non esser fatto prigione e Giuliano gli tenne sempre compagnia. Arrivati dunque a Savona crebbero maggior numero di maestri da murare et altri artefici in sul lavoro. Ma facendosi ognora più vivi i romori del Papa contra il cardinale, non stette molto che se n’andò in Avignone, e d’un modello, che Giuliano aveva fatto d’un palazzo per lui, fece fare un dono al re; il quale modello era maraviglioso, ricchissimo d’ornamenti e molto capace per lo allogiamento di tutta la sua corte. Era la corte reale in Lione quando Giuliano presentò il modello, il quale fu tanto caro et accetto al re che largamente lo premiò e gli diede lode infinite e ne rese molte grazie al cardinale che era in Avignone. Ebbero intanto nuove che il palazzo di Savona era già presso