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524 SECONDA PARTE

inferiore al Moro. Ma perchè non è di mia intenzione parlare al presente de’ vivi, voglio che mi basti, come dissi nel principio di questa vita, avere in questo luogo d’alcuni ragionato, de’ quali non ho potuto sapere così minutamente la vita et ogni particolare, acciò la virtù e meriti loro da me abbiano al meno tutto quel poco che io, il quale molto vorrei, posso dar loro.


VITA DI IACOPO DETTO L’INDACO PITTORE

Iacopo detto l’Indaco, il quale fu discepolo di Domenico del Ghirlandaio, et in Roma lavorò con Pinturicchio, fu ragionevole maestro ne’ tempi suoi; e se bene non fece molte cose, quelle nondimeno che furono da lui fatte sono da esser comendate. Nè è gran fatto che non uscissero se non pochissime opere delle sue mani, perciò che essendo persona faceta, piacevole e di buon tempo, alloggiava pochi pensieri e non voleva lavorare se non quando non poteva far altro; e perciò usava di dire che il non mai fare altro che affaticarsi senza pigliarsi un piacere al mondo, non era cosa da cristiani. Praticava costui molto dimesticamente con Michelagnolo, perciò che quando voleva quell’artefice, eccellentissimo sopra quanti ne furono mai, ricrearsi dagli studii e dalle continue fatiche del corpo e della mente, niuno gli era perciò più a grado, nè più secondo l’umor suo, che costui. Lavorò Iacopo molti anni in Roma, o per meglio dire, stette molti anni in Roma e vi lavorò pochissimo. È di sua mano in quella città nella chiesa di S. Agostino, entrando in chiesa per la porta della facciata dinanzi a man ritta, la prima cappella, nella volta della quale sono gl’Apostoli che ricevono lo Spirito Santo; e di sotto sono nel muro due storie di Cristo, nell’una quando toglie dalle reti Pietro et Andrea, e nell’altra la cena di Simone e di Maddalena, nella quale è un palco di legno e di travi molto ben contrafatto. Nella tavola della medesima cappella, la quale egli dipinse a olio, è un Cristo morto, lavorato e condotto con molta pratica e diligenza. Parimente nella Trinità di Roma è di sua mano in una tavoletta, la coronazione di Nostra Donna. Ma che bisogna o che si può di costui altro raccontare? Basta che quanto fu vago di cicalare tanto fu sempre nimico di lavorare e del dipignere. E perchè come si è detto, si pigliava piacer Michelagnelo delle chiacchiere di costui e delle burle che spesso faceva, lo teneva quasi sempre a mangiar seco; ma essendogli un giorno venuto costui a fastidio, come il più delle volte vengono questi cotali agl’amici e padroni loro, col troppo e bene spesso fuor di proposito e senza discrezione, cicalare - perchè ragionare non si può dire, non essendo in simili per lo più nè ragione, nè giudizio - lo mandò Michelagnolo, per levarselo dinanzi allora che aveva forse altra fantasia, a comperare de’ fichi; et uscito che Iacopo fu di casa, gli serrò Michelagnolo l’uscio dietro con animo, quando tornava, di non gl’aprire. Tornato dunque l’Indaco di piazza, s’avvide, dopo aver picchiato un pezzo la porta invano, che Michelagnolo non voleva aprirgli; perchè venutogli collera, prese le foglie et i fichi, e fattone una bella distesa in sulla soglia della porta, si partì e stette molti mesi che non volle favellare a Michelagnolo;