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ANT. POLLAIUOLO 467

a Giuliano del Facchino, maestri ragionevoli, et a Giovanni Turini sanese, che avanzò questi suoi compagni assai in questo mestiero, del quale da Antonio di Salvi in qua, (che fece di molte cose e buone, come una croce grande d’argento nella Badia di Firenze, et altri lavori) non s’è veduto gran fatto, cose che se ne possa far conto staordinario. Ma, e di queste e di quelle de’ Pollaiuoli, molte per i bisogni della città nel tempo della guerra, sono state dal fuoco destrutte e guaste. Laonde, conoscendo egli che quell’arte non dava molta vita alle fatiche de’ suoi artefici, si risolvè per desiderio di più lunga memoria, non attendere più ad essa. E così avendo egli Piero suo fratello che attendeva alla pittura, si accostò a quello per imparare i modi del maneggiare et adoperare i colori, parendoli un’arte tanto differente da l’orefice, che se egli non avesse così prestamente resoluto d’abandonare quella prima in tutto, e’ sarebbe forse stata ora che e’ non arebbe voluto esservisi voltato. Per la qual cosa spronato dalla vergogna più che dall’utile, appresa in non molti mesi la pratica del colorire, diventò maestro eccellente. Et unitosi in tutto con Piero lavorarono in compagnia dimolte pitture. Fra le quali per dilettarsi molto del colorito, fecero al cardinale di Portogallo una tavola a olio in San Miniato al Monte, fuori di Fiorenza, la quale fu posta sull’altar della sua cappella, e vi dipinsero dentro S. Iacopo Apostolo, S. Eustachio e San Vincenzio, che sono stati molto lodati. E Piero particolarmente vi fece in sul muro a olio, il che aveva imparato da Andrea del Castagno, nelle quadrature degl’angoli sotto l’architrave, dove girano i mezzi tondi degl’archi, alcuni Profeti; et in un mezzo tondo una Nunziata con tre figure. Et a’ capitani di parte dipinse, in un mezzo tondo, una Nostra Donna col Figliuolo in collo et un fregio di Serafini intorno, pur lavorato a olio. Dipinsero ancora in S. Michele in Orto, in un pilastro in tela a olio, un Angelo Raffaello con Tobia; e fecero nella Mercatanzia di Fiorenza alcune virtù, in quello stesso luogo dove siede, pro tribunali, il magistrato di quella. Ritrasse di naturale Messer Poggio, segretario della Signoria di Fiorenza, che scrisse l’istoria fiorentina dopo Messer Lionardo d’Arezzo, e Messer Giannozzo Manetti, persona dotta e stimata assai, nel medesimo luogo dove da altri maestri assai prima erano ritratti Zanobi da Strada, poeta fiorentino, Donato Acciaiuoli et altri. Nel Proconsolo e nella cappella de’ Pucci a S. Sebastiano de’ Servi, fece la tavola dell’altare che è cosa eccellente e rara, dove sono cavalli mirabili, ignudi e figure bellissime in iscorto, et il S. Sebastiano stesso ritratto dal vivo, cioè da Gino di Lodovico Capponi e fu quest’opera la più lodata che Antonio facesse già mai. Conciò sia che per andare egli imitando la natura il più che e’ poteva, fece in uno di que’ saettatori, che appoggiatasi la balestra al petto si china a terra per caricarla, tutta quella forza che può porre un forte di braccia in caricare quell’instrumento; imperò che e’ si conosce in lui il gonfiare delle vene e de’ muscoli et il ritenere del fiato, per fare più forza. E non è questo solo ad essere condotto con avvertenza, ma tutti gl’altri ancora, con diverse attitudini, assai chiaramente dimostrano l’ingegno e la considerazione, che egli aveva posto in questa opera, la qual fu certamente conosciuta da Antonio Pucci, che gli donò per questo trecento scudi, affermando che non gli pagava appena i colori, e fu finita l’anno 1475. Crebbeli dunque da questo l’animo et a San