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462 SECONDA PARTE

apertamente la virtù di Domenico insieme con le dette pitture. Condusse a tempera la tavola isolata tutta, e le altre figure che sono ne’ sei quadri: che oltre alla Nostra Donna che siede in aria col Figliuolo in collo e gl’altri Santi che gli sono intorno, oltra il S. Lorenzo et il S. Stefano che sono interamente vive, al S. Vincenzio e S. Pietro Martire non manca se non la parola. Vero è che di questa tavola ne rimase imperfetta una parte, mediante la morte sua, per che, avendo egli già tiratola tanto innazi, che e’ non le mancava altro che il finire certe figure dalla banda di dietro dove è la Resurressione di Cristo, e tre figure che sono in que’ quadri, finirono poi il tutto Benedetto e Davitte Ghirlandai suoi frategli. Questa cappella fu tenuta cosa bellissima, grande, garbata e vaga, per la vivacità de’ colori, per la pratica e pulitezza del maneggiargli nel muro e per il poco essere stati ritocchi a secco, oltre la invenzione e collocazione delle cose. E certamente ne merita Domenico lode grandissima per ogni conto, e massimamente per la vivezza delle teste, le quali per essere ritratte di naturale rappresentano a chi verrà le vivissime effigie di molte persone segnalate. E pel medesimo Giovanni Tornabuoni dipinse al Casso Maccherelli, sua villa poco lontana dalla città, una cappella, in sul fiume di Terzolle, oggi mezza rovinata per la vicinità del fiume; la quale ancor che stata molti anni scoperta e continuamente bagnata dalle piogge et arsa da’ soli, si è difesa in modo che pare stata al coperto: tanto vale il lavorare in fresco quando è lavorato bene e con giudizio, e non a ritocco a secco. Fece ancora nel palazzo della Signoria, nella sala dove è il maraviglioso orologio di Lorenzo della Volpaia, molte figure di Santi fiorentini con bellissimi adornamenti. E tanto fu amico del lavorare e di satisfare ad ognuno che egli aveva commesso a’ garzoni che e’ si accettasse qualunche lavoro che capitasse a bottega se bene fussero cerchi da paniere di donne, perchè non gli volendo fare essi, gli dipignerebbe da sè a ciò che nessuno si partisse scontento da la sua bottega. Dolevasi bene quando aveva cure familiari, e per questo dette a David suo fratello ogni peso di spendere dicendogli: "Lascia lavorare a me e tu provedi, che ora che io ho cominciato a conoscere il modo di quest’arte, mi duole che non mi sia allogato a dipignere a storie il circuito di tutte le mura della città di Fiorenza", mostrando così animo invitissimo e risoluto in ogni azzione. Lavorò a Lucca in S. Martino una tavola di S. Pietro e S. Paulo. Alla Badia di Settimo, fuor di Fiorenza, lavorò la facciata della maggior cappella a fresco, e nel tramezzo della chiesa due tavole a tempera. In Fiorenza lavorò ancora molti tondi, quadri e pitture diverse che non si riveggono altrimenti per essere nelle case de’ particulari. In Pisa fece la nicchia del Duomo allo altar maggiore e lavorò in molti luoghi di quella città, come alla facciata dell’opera quando il re Carlo ritratto di naturale raccomanda Pisa; et in San Girolamo a’ frati Gesuati due tavole a tempera, quella dell’altar maggiore et un’altra. Nel qual luogo ancora è di mano del medesimo in un quadro, S. Rocco e S. Bastiano, il quale fu donato a que’ padri da non so chi de’ Medici, onde essi vi hanno perciò aggiunte l’arme di papa Leone Decimo. Dicono che ritraendo anticaglie di Roma, archi, terme, colonne, colisei, aguglie, amfiteatri et acquidotti, era sì giusto nel disegno che le faceva a occhio, senza regolo o seste e misure; e misurandole