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444 SECONDA PARTE

ferro sia da ciascuna parte tenuto stretto e di riscontro, levatone a misura quella parte che ha da parere fitta nella persona del ferito, non ne dirò altro. Basta che per lo più si truova che furono invenzione del Cecca. I giganti similmente, che in detta festa andavano attorno, si facevano a questo modo: alcuni molto pratichi nell’andar in sui trampoli, o come si dice altrove in sulle zanche, ne facevano fare di quelli che erano alti cinque e sei braccia da terra, e fasciategli et acconcigli in modo, con maschere grandi et altri abbigliamenti di panni o d’arme finte che avevano membra e capo di gigante vi montavano sopra, e destramente caminando, parevano veramente giganti; avendo nondimeno inanzi uno che sosteneva una picca, sopra la quale con una mano si appoggiava esso gigante; ma per sì fatta guisa però che pareva che quella picca fusse una sua arme, cioè o mazza o lancia o un gran battaglio, come quello che Morgante usava, secondo i poeti romanzi, di portare. E sì come i giganti, così si facevano anche delle gigantesse, che certamente facevano un bello e maraviglioso vedere. I spiritelli poi da questi erano differenti, perchè senza avere altra che la propria forma, andavano in sui detti trampoli alti cinque e sei braccia, in modo che parevano proprio spiriti. E questi anco avevano inanzi uno che con una picca gl’aiutava. Si racconta nondimeno che alcuni eziandio senza punto appoggiarsi a cosa veruna, in tanta altezza caminavano benissimo; e chi ha pratica de’ cervelli fiorentini, so che di questo non si farà alcuna maraviglia; perchè, lasciamo stare quello da Montughi di Firenze, che ha trapassati nel salir e giocolare sul canapo quanti insino a ora ne sono stati; chi ha conosciuto uno che si chiamava Ruvidino, il quale morì non sono anco dieci anni, sa che il salire ogni altezza sopra un canapo o fune, il saltar dalle mura di Firenze in terra et andare in su’ trampoli molto più alti che quelli detti di sopra, gli era così agevole come a ciascuno caminare per lo piano. Laonde non è maraviglia se gl’uomini di que’ tempi, che in cotali cose o per prezo o per altro si esercitavano, facevano quelle che si sono dette di sopra, o maggiori cose. Non parlerò d’alcuni ceri che si dipignevano in varie fantasie, ma goffi tanto che hanno dato il nome ai dipintori plebei, onde si dice alle cattive pitture "fantocci da ceri", perchè non mette conto; dirò bene che al tempo del Cecca questi furono in gran parte dismessi et in vece loro fatti i carri che simili ai triomfali sono oggi in uso. Il primo de’ quali fu il carro della moneta, il quale fu condotto a quella perfezzione che oggi si vede, quando ogni anno per detta festa è mandato fuori dai maestri e signori di Zecca, con un S. Giovanni in cima e molti altri Santi et Angeli da basso et intorno, rappresentati da persone vive. Fu deliberato non è molto che se ne facesse, per ciascun castello che offerisce cero, uno, e ne furono fatti insino in dieci per onorare detta festa magnificamente, ma non si seguitò per gl’accidenti che poco poi sopravennero. Quel primo dunque della Zecca fu, per ordine del Cecca, fatto da Domenico, Marco e Giuliano del Tasso, che allora erano de’ primi maestri di legname che in Fiorenza lavorassero di quadro e d’intaglio; et in esso sono da esser lodate assai, oltre all’altre cose, le ruote da basso, che si schiodano per potere alle svolte de’ canti girare quello edifizio et accommodarlo di maniera che scrolli