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F. GIOVANNI 363

del cielo. Si esercitò continuamente nella pittura, nè mai volle lavorare altre cose che di Santi. Potette esser ricco e non se ne curò, anzi usava dire che la vera ricchezza non è altro che contentarsi del poco. Potette comandare a molti e non volle, dicendo esser men fatica e manco errore ubidire altrui. Fu in suo arbitrio avere dignità ne’ frati e fuori, e non le stimò, affermando non cercare altra dignità che cercare di fuggire l’Inferno et accostarsi al Paradiso. E di vero qual dignità si può a quella paragonare, la qual deverebbono i religiosi, anzi pur tutti gl’uomini, cercare? E che in solo Dio e nel vivere virtuosamente si ritruova? Fu umanissimo e sobrio; e castamente vivendo, dai lacci del mondo si sciolse, usando spesse fiate di dire, che chi faceva questa arte aveva bisogno di quiete e di vivere senza pensieri, e che chi fa cose di Cristo, con Cristo deve star sempre. Non fu mai veduto in collera tra i frati; il che grandissima cosa e quasi impossibile mi pare a credere; e soghignando semplicemente aveva in costume d’amonire gl’amici. Con amorevolezza incredibile, a chiunche ricercava opere da lui, diceva che ne facesse esser contento il priore, e che poi non mancherebbe. Insomma fu questo non mai a bastanza lodato padre in tutte l’opere e ragionamenti suoi umilissimo e modesto, e nelle sue pitture facile e devoto; et i Santi che egli dipinse, hanno più aria e somiglianza di Santi, che quegli di qualunche altro. Aveva per costume non ritoccare, nè racconciar mai alcuna sua dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per creder (secondo ch’egli diceva) che così fusse la volontà di Dio. Dicono alcuni che fra’ Giovanni non arebbe messo mano ai penelli, se prima non avesse fatto orazione. Non fece mai Crucifisso che non si bagnasse le gote di lagrime; onde si conosce nei volti e nell’attitudini delle sue figure la bontà del sincero e grande animo suo nella religione cristiana. Morì d’anni sessantotto nel 1455, e lasciò suoi discepoli Benozzo fiorentino, che imitò sempre la sua maniera; Zanobi Strozzi, che fece quadri e tavole per tutta Fiorenza, per le case de’ cittadini, e particolarmente una tavola, posta oggi nel tramezzo di S. Maria Novella, allato a quella di fra’ Giovanni, et una in S. Benedetto, monasterio de’ Monaci di Camaldoli, fuor della porta a Pinti, oggi rovinato; la quale è al presente nel monasterio degl’Angeli, nella chiesetta di S. Michele, inanzi che si entri nella principale, a man ritta andando verso l’altare, apoggiata al muro; e similmente una tavola in S. Lucia, alla capella de’ Nasi; et un’altra in S. Romeo et in guardaroba del Duca è il ritratto di Giovanni di Bicci de’ Medici, e quello di Bartolomeo Valori in uno stesso quadro, di mano del medesimo. Fu anco discepolo di fra’ Giovanni Gentile da Fabbriano e Domenico di Michelino, il quale in S. Apolinare di Firenze fece la tavola all’altare di S. Zanobi et altre molte dipinture. Fu sepolto fra’ Giovanni dai suoi frati nella Minerva di Roma, lungo l’entrata del fianco, appresso la sagrestia in un sepolcro di marmo tondo, e sopra esso egli, ritratto di naturale; nel marmo si legge intagliato questo epitaffio.

Non mihi sit laudi, quod eram velut alter Apelles; sed quod lucra tuis omnia, Christe, dabam: altera nam terris opera extant, altera coelo. Urbs me Ioannem flos tulit Etrurie.

Sono di mano di fra’ Giovanni in S. Maria del