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GIULIANO DI MAIANO 351

in Giuliano da Maiano; il padre del quale, essendo lungamente vivuto nel poggio di Fiesole, dove si dice Maiano, con lo essercizio di squadratore di pietre, si condusse finalmente in Fiorenza, dove fece una bottega di pietre lavorate, tenendola fornita di que’ lavori che sogliono improvisamente, il più delle volte, venire a bisogno a chi fabrica qualche cosa. Standosi dunque in Firenze gli nacque Giuliano, il quale, perchè parve col tempo al padre di buono ingegno, disegnò di farlo notaio, parendogli che lo scarpellare come aveva fatto egli fusse troppo faticoso essercizio e di non molto utile; ma non gli venne ciò fatto, perchè, se bene andò un pezzo Giuliano alla scola di grammatica non vi ebbe mai il capo, e per conseguenza non vi fece frutto nessuno; anzi fuggendosene più volte, mostrò d’aver tutto l’animo volto alla scultura, se bene da principio si mise all’arte del legnaiuolo e diede opera al disegno. Dicesi che con Giusto e Minore, maestri di tarsie, lavorò i banchi della sagrestia della Nunziata e similmente quelli del coro che è allato alla cappella, e molte cose nella Badia di Fiesole et in S. Marco; e che per ciò acquistatosi nome, fu chiamato a Pisa, dove lavorò in Duomo la sedia che è a canto all’altar maggiore, dove stanno a sedere il sacerdote e diacono e sodiacono, quando si canta la messa; nella spalliera della quale fece di tarsia, con legni tinti et ombrati, i tre profeti che vi si veggiono. Nel che fare, servendosi di Guido del Servellino e di maestro Domenico di Mariotto, legnaiuoli pisani, insegnò loro di maniera l’arte, che poi feciono così d’intaglio come di tarsie la maggior parte di quel coro, il quale a’ nostri dì è stato finito, ma con assai miglior maniera, da Batista del Cervelliera pisano, uomo veramente ingegnoso e soffistico. Ma tornando a Giuliano, egli fece gl’armarii della sagrestia di Santa Maria del Fiore, che per cosa di tarsia e di rimessi furono tenuti in quel tempo mirabili; e così, seguitando Giuliano d’attender alla tarsia et alla scultura et architettura, morì Filippo di ser Brunellesco; onde, messo dagl’Operai in luogo suo, incrostò di marmo, sotto la volta della cupola, le fregiature di marmi bianchi e neri, che sono intorno agl’occhi. Et in sulle cantonate fece i pilastri di marmo sopra i quali furono messi poi da Baccio d’Agnolo l’architrave, fregio e cornice, come di sotto si dirà. Vero è che costui, per quanto si vede in alcuni disegni di sua mano che sono nel nostro libro, voleva fare altro ordine di fregio cornice e ballatoio, con alcuni frontespizii a ogni faccia dell’otto della cupola, ma non ebbe tempo di metter ciò in opera, perchè traportato dal lavoro d’oggi in domani, si morì. Ma innanzi che ciò fusse, andato a Napoli, fece a Poggio Reale, per lo re Alfonso, l’architettura di quel magnifico palazzo, con le belle fonti e condotti che sono nel cortile. E nella città similmente, e per le case de’ gentiluomini e per le piazze, fece disegni di molte fontane con belle e capricciose invenzioni. Et il detto palazzo di Poggio Reale fece tutto dipignere da Piero del Donzello e Polito suo fratello. Di scultura parimente fece al detto re Alfonso, allora Duca di Calavria, nella sala grande del castello di Napoli, sopra una porta di dentro e di fuori, storie di basso rilievo, e la porta del castello di marmo, d’ordine corinzio con infinito numero di figure. E diede a quell’opera forma d’arco trionfale, dove le storie et alcune vittorie di quel re sono sculpite di marmo. Fece similmente Giuliano