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340 SECONDA PARTE

la libreria del monasterio di San Giorgio Maggiore, luogo de’ monaci Neri di Santa Iustina, che fu finita non solo di muraglia, di banchi, di legnami et altri ornamenti, ma ripiena di molti libri. E questo fu il trattenimento e lo spasso di Cosimo in quell’esilio, dal quale essendo l’anno 1434 richiamato alla patria, tornò quasi trionfante, e Michelozzo con esso lui. Standosi dunque Michelozzo in Fiorenza, il palazzo publico della Signoria cominciò a minacciare rovina, perchè alcune colonne del cortile pativano, o fusse ciò perchè il troppo peso di sopra le caricasse, o pure il fondamento debole e bieco, e forse ancora perchè erano di pezzi mal commessi e mal murati. Ma qualunque di ciò fusse la cagione, ne fu dato cura a Michelozzo, il quale volentieri accettò l’impresa, perchè in Vinezia presso a S. Barnaba aveva proveduto a un pericolo simile in questo modo: un gentiluomo, il quale aveva una casa che stava in pericolo di rovinare, ne diede la cura a Michelozzo, onde egli (secondo che già mi disse Michelagnolo Bonarroti) fatto fare segretamente una colonna e messi a ordine puntegli assai, cacciò il tutto in una barca et in quella entrato con alcuni maestri, in una notte ebbe puntellata la casa e rimessa la colonna. Michelozzo dunque, da questa sperienza fatto animoso, riparò al pericolo del palazzo e fece onor a sè et a chi l’aveva favorito in fargli dare cotal carico; e rifondò e rifece le colonne in quel modo che oggi stanno; avendo fatto prima una travata spessa di puntelli e di legni grossi per lo ritto, che reggevano le centine degli archi fatti di pancone di noce, per le vòlte che venivano del pari a reggere unitamente il peso che prima sostenevano le colonne; et a poco a poco cavate quelle che erano in pezzi mal commessi, rimesse di nuovo l’altre di pezzi, lavorate con diligenza; in modo che non patì la fabbrica cosa alcuna nè mai ha mosso un pelo; e perchè si riconoscessino le sue colonne dall’altre, ne fece alcune a otto facce, in su’ canti con capitelli che hanno intagliato le foglie alla foggia moderna, et altre tonde, le quali molto bene si riconoscano dalle vecchie che già vi fece Arnolfo. Dopo, per consiglio di Michelozzo, da chi governava allora la città fu ordinato che si dovesse ancora, sopra gl’archi di quelle colonne, scaricare et alleggerire il peso di quelle mura che vi erano, e rifar di nuovo tutto il cortile dagli archi in su, con ordine di finestre alla moderna, simili a quelle che per Cosimo aveva fatto nel cortile del palazzo de’ Medici; e che si sgraffisse a bozzi per le mura, per mettervi que’ gigli d’oro che ancora vi si veggono al presente, il che tutto fece far Michelozzo con prestezza, facendo al dritto delle finestre di detto cortile nel secondo ordine, alcuni tondi che variassino dalle finestre su dette, per dar lume alle stanze di mezzo, che son sopra alle prime, dov’è oggi la sala de’ Dugento. Il terzo piano poi, dove abitavano i signori e il gonfaloniere, fece più ornato, spartendo in fila dalla parte di verso S. Piero Scaraggio, alcune camere per i signori che prima dormivano tutti insieme in una medesima stanza, le quali camere furono otto per i signori et una maggiore per il gonfaloniere, che tutte rispondevano in un andito che aveva le finestre sopra il cortile. E di sopra fece un altro ordine di stanze commode per la famiglia del palazzo, in una delle quali, dove è oggi la depositeria, è ritratto ginocchioni dinanzi a una Nostra Donna, Carlo, figliuolo del re Ruberto, duca di Calavria, di mano di Giotto. Vi fece similmente le camere de’ donzelli, tavolaccini, trombetti, musici, pifferi,