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328 SECONDA PARTE

che n’ebbe la vera intelligenza e gli fece con bellezza più che ordinaria; perciò che non che alcuno artefice in questa parte lo vincesse, ma nell’età nostra ancora non è chi l’abbia paragonato. Fu allevato Donatello da fanciullezza in casa di Ruberto Martelli, e per le buone qualità e per lo studio della virtù sua, non solo meritò d’essere amato da lui, ma ancora da tutta quella nobile famiglia. Lavorò nella gioventù sua molte cose delle quali, perchè furono molte, non si tenne gran conto. Ma quello che gli diede nome e lo fece, per quello che egli era, conoscere, fu una Nunziata di pietra di macigno, che in Santa Croce di Fiorenza fu posta all’altare e cappella de’ Cavalcanti, alla quale fece un ornato di componimento alla grottesca, con basamento vario et attorto e finimento a quarto tondo, aggiugnendovi sei putti che reggono alcuni festoni, i quali pare che per paura dell’altezza, tenendosi abbracciati l’un l’altro, si assicurino. Ma sopra tutto grande ingegno et arte mostrò nella figura della Vergine, la quale, impaurita dall’improvviso apparire dell’Angelo, muove timidamente con dolcezza la persona a una onestissima reverenza, con bellissima grazia rivolgendosi a chi la saluta. Di maniera che se le scorge nel viso quella umilità e gratitudine, che del non aspettato dono si deve a chi lo fa, e tanto più quanto il dono è maggiore. Dimostrò oltra questo Donato ne’ panni di essa Madonna e dell’Angelo, lo essere bene rigirati e maestrevolmente piegati; e col cercare l’ignudo delle figure, come e’ tentava di scoprire la bellezza degl’antichi, stata nascosa già cotanti anni. E mostrò tanta facilità et artifizio in questa opera, che insomma più non si può, dal disegno e dal giudizio, dallo scarpello e dalla pratica, disiderare. Nella chiesa medesima sotto il tramezzo, a lato della storia di Taddeo Gaddi, fece con straordinaria fatica un Crucifisso di legno, il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima, lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco suo amicissimo, per averne il parere suo; il quale Filippo, che per le parole di Donato aspettava di vedere molto miglior cosa, come lo vide sorrise alquanto. Il che vedendo Donato, lo pregò, per quanta amicizia era fra loro, che gliene dicesse il parer suo; per che Filippo, che liberalissimo era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo, et in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse già mai. Udendosi mordere Donato, e più a dentro che non pensava, dove sperava essere lodato, rispose: "Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo, e non un contadino: però piglia del legno e pruova a farne uno ancor tu". Filippo, senza più farne parola, tornato a casa, senza che alcuno lo sapesse, mise mano a fare un Crucifisso, e cercando d’avanzare, per non condannar il proprio giudizio, Donato, lo condusse dopo molti mesi a somma perfezzione. E ciò fatto, invitò una mattina Donato a desinar seco, e Donato accettò l’invito. E così, andando a casa di Filippo di compagnia, arivati in Mercato Vecchio, Filippo comperò alcune cose, e datole a Donato, disse: "Aviati con queste cose a casa, e lì aspettami, che io ne vengo or ora". Entrato dunque Donato in casa, giunto che fu in terreno, vide il Crucifisso di Filippo a un buon lume, e fermatosi a considerarlo, lo trovò così perfettamente finito, che vinto e tutto pieno di stupore, come fuor di sè, aperse le mani che tenevano il grembiule. Onde cascatogli l’uova,