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FILIPPO BRUN. 321

bella nè più magnifica architettura. Fu esecutore di questo palazzo Luca Fancelli architetto fiorentino, che fece per Filippo molte fabbriche, e per Leon Battista Alberti la cappella maggiore della Nunziata di Firenze, a Lodovico Gonzaga; il quale lo condusse a Mantova, dove egli vi fece assai opere, e quivi tolse donna e vi visse e morì, lasciando agli eredi che ancora dal suo nome si chiamano i Luchi. Questo palazzo comperò, non sono molti anni, l’illustrissima signora Leonora di Tolledo, duchessa di Fiorenza, per consiglio dell’illustrissimo signor duca Cosimo, suo consorte. E vi si allargò tanto intorno, che vi ha fatto un giardino grandissimo, parte in piano e parte in monte e parte in costa; e l’ha ripieno con bellissimo ordine di tutte le sorti arbori domestici e salvatichi, e fattovi amenissimi boschetti d’infinite sorti verzure che verdeggiano d’ogni tempo, per tacere l’acque, le fonti, i condotti, i vivai, le frasconaie e le spalliere, et altre infinite cose veramente da magnanimo principe; le quali tacerò, perchè non è possibile che chi non le vede le possa immaginar mai di quella grandezza e bellezza che sono. E di vero al duca Cosimo non poteva venire alle mani alcuna cosa più degna della potenza e grandezza dell’animo suo di questo palazzo; il quale pare che veramente fusse edificato da Messer Luca Pitti per sua eccellenza illustrissima col disegno del Brunellesco. Lo lasciò Messer Luca imperfetto per i travagli che egli ebbe per conto dello stato; e gli eredi, perchè non avevano modo a finirlo, acciò non andasse in rovina, furono contenti di compiacerne la signora duchessa; la quale, mentre visse, vi andò sempre spendendo, ma non però in modo che potesse sperare di così tosto finirlo. Ben è vero che se ella viveva, era d’animo, secondo che già intesi, di spendervi in uno anno solo quarantamila ducati per vederlo, se non finito, a bonissimo termine. E perchè il modello di Filippo non si è trovato, n’ha fatto fare sua eccellenza un altro a Bartolomeo Ammannati, scultore et architetto eccellente, e secondo quello si va lavorando; e già è fatto una gran parte del cortile d’opera rustica, simile al difuori. E nel vero, chi considera la grandezza di quest’opera, stupisce come potesse capire nell’ingegno di Filippo così grande edifizio magnifico veramente, non solo nella facciata di fuori, ma ancora nello spartimento di tutte le stanze. Lascio stare la veduta ch’è bellissima, et il quasi teatro, che fanno l’amenissime colline che sono intorno al palazzo verso le mura: perchè, com’ho detto, sarebbe troppo lungo voler dirne a pieno; nè potrebbe mai niuno che nol vedesse imaginarsi quanto sia, a qualsivoglia altro regio edifizio, superiore. Dicesi ancora che gl’ingegni del Paradiso di S. Filice in piazza, nella detta città, furono trovati da Filippo, per fare la rappresentazione o vero festa della Nunziata, in quel modo che anticamente a Firenze in quel luogo si costumava di fare. La qual cosa invero era maravigliosa, e dimostrava l’ingegno e l’industria di chi ne fu inventore: perciò che si vedeva in alto un cielo pieno di figure vive moversi, et una infinità di lumi, quasi in un baleno scoprirsi e ricoprirsi. Ma non voglio che mi paia fatica raccontare come gl’ingegni di quella machina stavano per a punto: atteso che ogni cosa è andata male e sono gl’uomini spenti che ne sapevano ragionare per esperienza: senza speranza che s’abbiano a rifare, abitando oggi quel luogo non più monaci di Camaldoli, come facevano, ma le monache di S. Pier martire; e massimamente ancora essendo stato guasto quello del Carmine, perchè tirava giù i cavagli