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FILIPPO BRUN. 313

lire trecento, per fatica e spesa fatta nel suo modello: causato ciò dalla amicizia e favore che egli aveva, più che da utilità o bisogno che ne avesse la fabbrica. Durò questo tormento in su gli occhi di Filippo per fino al 1426, chiamando coloro Lorenzo parimente che Filippo, inventori; lo qual disturbo era tanto potente nello animo di Filippo, che egli viveva con grandissima passione. Fatto adunque varie e nuove immaginazioni, deliberò al tutto de levarselo da torno, conoscendo quanto e’ valesse poco in quell’opera. Aveva Filippo fatto voltare già intorno la cupola fra l’una volta e l’altra dodici braccia e quivi avevano a mettersi su le catene di pietra e di legno: il che per essere cosa difficile, ne volle parlare con Lorenzo per tentare se egli avesse considerato questa difficultà. E trovollo tanto digiuno circa lo avere pensato a tal cosa, che e’ rispose che la rimetteva in lui come inventore. Piacque a Filippo la risposta di Lorenzo, parendoli che questa fusse la via di farlo allontanare dall’opera e da scoprire che non era di quella intelligenza che lo tenevano gli amici suoi et il favore che lo aveva messo in quel luogo. Dopo, essendo già fermi tutti i muratori dell’opera, aspettavano di dovere cominciare sopra le dodici braccia e far le volte et incatenarle essendosi cominciato a stringere la cupola da sommo, per lo che fare erano forzati fare i ponti, acciò che i manovali e’ muratori potessino lavorare senza pericolo, atteso che l’altezza era tale che solamente guardando allo ingiù faceva paura e sbigotimento a ogni sicuro animo. Stavasi dunque dai muratori e dagli altri maestri ad aspettare il modo della catena e de’ ponti: nè resolvendosi niente per Lorenzo nè per Filippo, nacque una mormorazione fra i muratori e gli altri maestri, non vedendo sollecitare come prima; e perchè essi, che povere persone erano, vivevano sopra le lor braccia, e dubitavano che nè all’uno nè all’altro bastasse l’animo di andare più su con quella opera, il meglio che sapevano e potevano, andavano trattenendosi per la fabrica, ristoppando e ripulendo tutto quel che era murato fino allora. Una mattina infra le altre, Filippo non capitò al lavoro, e fasciatosi il capo entrò nel letto, e continuamente gridando si fece scaldare taglieri e panni con una sollecitudine grande, fingendo avere mal di fianco. Inteso questo, i maestri che stavano aspettando l’ordine di quel che avevano a lavorare dimandarono Lorenzo quel che avevano a seguire: rispose che l’ordine era di Filippo e che bisognava aspettare lui. Fu chi gli disse: "Oh non sai tu l’animo suo?" "Sì", disse Lorenzo "ma non farei niente senza esso." E questo lo disse in escusazion sua, che non avendo visto il modello di Filippo e non gli avendo mai dimandato che ordine e’ volesse tenere, per non parer ignorante, stava sopra di sè nel parlare di questa cosa e rispondeva tutte parole dubbie, massimamente sapendo essere in questa opera contra la voluntà di Filippo. Al quale durato già più di dua giorni il male, et andato a vederlo il proveditore dell’Opera et assai capomaestri muratori, di continuo li domandavano che dicesse quello che avevono a fare. Et egli: "Voi avete Lorenzo, faccia un poco egli". Nè altro si poteva cavare. Laonde, sentendosi questo, nacque parlamenti e giudizi di biasimo grandi sopra questa opera: chi diceva che Filippo si era messo nel letto per il dolore che non gli bastava l’animo di voltarla; e ch’e’ si pentiva d’essere entrato in ballo. Et i suoi