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FILIPPO BRUN. 305

tempo a fare una storia per ciascuno; fra i quali furono richiesti Filippo e Donato, di dovere ciascuno di essi da per sè fare una storia, a concorrenza di Lorenzo Ghiberti, Iacopo della Fonte, Simone da Colle, Francesco di Valdambrina e Niccolò d’Arezzo. Le quali storie finite l’anno medesimo e venute a mostra in paragone, furon tutte bellissime et intra sè differenti; chi era ben disegnata e mal lavorata, come quella di Donato, e chi aveva bonissimo disegno e lavorata diligentemente, ma non spartito bene la storia col diminuire le figure, come aveva fatto Iacopo della Quercia; e chi fatto invenzione povera e figure, nel modo che aveva la sua condotto Francesco di Valdambrina; e le peggio di tutte erano quelle di Niccolò d’Arezzo e di Simone da Colle, e la migliore quella di Lorenzo di Cione Ghiberti. La quale aveva in sè disegno, diligenza, invenzione, arte e le figure molto ben lavorate; nè gli era però molto inferiore la storia di Filippo, nella quale aveva figurato un Abraam che sacrifica Isaac; et in quella un servo, che mentre aspetta Abraam, e che l’asino pasce, si cava una spina di un piede, che merita lode assai. Venute dunque le storie a mostra, non si satisfacendo Filippo e Donato se non di quella di Lorenzo, lo giudicarono più al proposito di quell’opera che non erano essi e gl’altri che avevano fatto le altre storie. E così a’ Consoli con buone ragioni persuasero che a Lorenzo l’opera allogassero, mostrando che il publico et il privato ne sarebbe servito meglio; e fu veramente questo una bontà vera d’amici et una virtù senza invidia, et uno giudizio sano nel conoscere se stessi, onde più lode meritorono, che se l’opera avessino condotta a perfezzione: felici spiriti che mentre giovavano l’uno all’altro, godevano nel lodare le fatiche altrui; quanto infelici sono ora i nostri, che mentre ch’e’ nuocono, non sfogati, crepano d’invidia nel mordere altrui. Fu da’ Consoli pregato Filippo che dovesse fare l’opera insieme con Lorenzo, ma egli non volle, avendo animo di volere essere più tosto primo in una sola arte, che pari o secondo in quell’opera. Per il che la storia, che aveva lavorata di bronzo, donò a Cosimo de’ Medici; la qual egli col tempo fece mettere in sagrestia vecchia di San Lorenzo, nel dossal dell’altare, e quivi si truova al presente, e quella di Donato fu messa nell’Arte del Cambio. Fatta l’allogazione a Lorenzo Ghiberti, furono insieme Filippo e Donato, e risolverono insieme partirsi di Fiorenza et a Roma star qualche anno, per attender Filippo all’architettura e Donato alla scultura. Il che fece Filippo, per voler esser superiore et a Lorenzo et a Donato, tanto quanto fanno l’architettura più necessaria all’utilità degl’uomini, che la scultura e la pittura. E venduto un poderetto che egli aveva a Settignano, di Fiorenza partiti, a Roma si condussero: nella quale, vedendo la grandezza degli edifizii e la perfezzione de’ corpi de’ tempii, stava astratto che pareva fuori di sè. E così dato ordine a misurare le cornici e levar le piante di quegli edifizii, egli e Donato continuamente seguitando, non perdonarono nè a tempo nè a spesa, Nè lasciarono luogo che eglino et in Roma e fuori in campagna, non vedessino e non misurassino tutto quello che potevano avere che fusse buono. E perchè era Filippo sciolto da le cure familiari, datosi in preda agli studii, non si curava di suo mangiare o dormire, solo l’intento suo era l’architettura, che già era spenta, dico gli ordini antichi buoni, e non la todesca e barbara, la