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LORENZO GHIBERTI 285

già aveva quasi fatto il modello, di rifare la detta porta che già aveva fatta Andrea Pisano, il quale modello è oggi andato male, e lo vidi già, essendo giovanetto, in borgo Allegri, prima che dai descendenti di Lorenzo fusse lasciato andar male. Ebbe Lorenzo un figliuolo chiamato Bonacorso, il quale finì di sua mano il fregio e quell’ornamento rimaso imperfetto, con grandissima diligenza; quell’ornamento, dico, il quale è la più rara e maravigliosa cosa che si possa veder di bronzo. Non fece poi Bonacorso, perchè morì giovane, molt’opere come arebbe fatto, essendo a lui rimaso il segreto di gettar le cose in modo che venissono sottili, e con esso la sperienza et il modo di straforare il metallo in quel modo che si veggiono essere le cose lasciate da Lorenzo; il quale, oltre le cose di sua mano, lasciò agl’eredi molte anticaglie di marmo e di bronzo, come il letto di Policleto che era cosa rarissima, una gamba di bronzo grande quanto è il vivo, et alcune teste di femine e di maschi, con certi vasi stati da lui fatti condurre di Grecia con non piccola spesa. Lasciò parimente alcuni torsi di figure et altre cose molte; le quali tutte furono insieme con le facultà di Lorenzo mandate male; e parte vendute a Messer Giovanni Gaddi, allora cherico di camera e fra esse fu il detto letto di Policleto e l’altre cose migliori. Di Bonacorso rimase un figliuolo, chiamato Vettorio, il quale attese alla scultura, ma con poco profitto, come ne mostrano le teste che a Napoli fece nel palazzo del duca di Gravina, che non sono molto buone, perchè non attese mai all’arte con amore, nè con diligenza, ma sì bene a mandare in malora le facultà et altre cose che gli furono lasciate dal padre e da l’avolo. Finalmente, andando sotto papa Paulo Terzo in Ascoli per architetto, un suo servitore, per rubarlo, una notte lo scannò, e così spense la sua famiglia, ma non già la fama di Lorenzo, che viverà in eterno. Ma tornando al detto Lorenzo, egli attese mentre visse a più cose e dilettossi della pittura e di lavorare di vetro; et in Santa Maria del Fiore fece quegli occhi che sono intorno alla cupola; eccetto uno che è di mano di Donato, che è quello dove Cristo incorona la Nostra Donna. Fece similmente Lorenzo li tre che sono sopra la porta principale di essa Santa Maria del Fiore, e tutti quelli delle capelle e delle tribune; e così l’occhio della facciata dinanzi di Santa Croce. In Arezzo fece una finestra per la capella maggior della Pieve, dentrovi la incoronazione di Nostra Donna e due altre figure per Lazzero di Feo di Baccio, mercante ricchissimo; ma perchè tutte furono di vetri viniziani carichi di colore fanno i luoghi dove furono poste anzi oscuri che no. Fu Lorenzo dato per compagno al Brunellesco, quando gli fu allogata la Cupola di Santa Maria del Fiore, ma ne fu poi levato, come si dirà nella vita di Filippo. Scrisse il medesimo Lorenzo un’opera volgare, nella quale trattò di molte varie cose, ma sì fattamente che poco costrutto se ne cava. Solo vi è, per mio giudizio, di buono che, dopo avere ragionato di molti pittori antichi, e particolarmente di quelli citati da Plinio, fa menzione brevemente di Cimabue, di Giotto e di molti altri di que’ tempi. E ciò fece con molto più brevità che non doveva, non per altra cagione che per cadere con bel modo in ragionamento di se stesso, e raccontare, come fece, minutamente a una per una tutte l’opere sue. Nè tacerò che egli mostra il libro essere stato fatto da altri, e poi