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LORENZO GHIBERTI 277

ciò. Erano concorsi in Fiorenza molti forestieri, parte pittori e parte scultori et alcuni orefici, i quali furono chiamati dai Consoli a dover dar giudizio di queste opere insieme con gli altri di quel mestiero che abitavano in Fiorenza. Il qual numero fu di 34 persone, e ciascuno nella sua arte peritissimo. E quantunque fussino in fra di loro differenti di parere, piacendo a chi la maniera di uno e chi quella di un altro, si accordavano nondimeno che Filippo di ser Brunelesco e Lorenzo di Bartoluccio avessino e meglio e più copiosa di figure migliori composta e finita la storia loro, che non aveva fatto Donato la sua, ancora che anco in quella fusse gran disegno. In quella di Iacopo della Quercia erano le figure buone, ma non avevano finezza, se bene erano fatte con disegno e diligenza. L’opera di Francesco di Valdambrina aveva buone teste et era ben rinetta, ma era nel componimento confusa. Quella di Simon da Colle era un bel getto perchè ciò fare era sua arte, ma non aveva molto disegno. Il saggio di Niccolò d’Arezzo, che era fatto con buona pratica, aveva le figure tozze et era mal rinetto. Solo quella storia che per saggio fece Lorenzo, la quale ancora si vede dentro all’udienza dell’Arte de’ Mercatanti, era in tutte le parti perfettissima: aveva tutta l’opera disegno et era benissimo composta; le figure di quella maniera erano svelte e fatte con grazia et attitudini bellissime, et era finita con tanta diligenza, che pareva fatta non di getto e rinetto con ferri, ma col fiato. Donato e Filippo, visto la diligenza che Lorenzo aveva usata nell’opera sua, si tiroron da un canto, e parlando fra loro, risolverono che l’opera dovesse darsi a Lorenzo, parendo loro che il publico et il privato sarebbe meglio servito, e Lorenzo, essendo giovanetto che non passava 20 anni, arebbe nello esercitarsi a fare in quella professione que’ frutti maggiori che prometteva la bella storia, che egli a giudizio loro aveva più degli altri eccellentemente condotta, dicendo che sarebbe stato più tosto opera invidiosa a levargliela, che non era virtuosa a fargliela avere. Cominciando dunque Lorenzo l’opera di quella porta, per quella che è dirimpetto all’opera di San Giovanni, fece per una parte di quella un telaio grande di legno quanto aveva a esser appunto, scorniciato e con gl’ornamenti delle teste in sulle quadrature, intorno allo spartimento de’ vani delle storie e con que’ fregi che andavano intorno. Dopo fatta e secca la forma con ogni diligenza, in una stanza che aveva compero dirimpetto a S. Maria Nuova, dove è oggi lo spedale de’ Tessitori, che si chiamava l’Aia, fece una fornace grandissima, la quale mi ricordo aver veduto, e gettò di metallo il detto telaio. Ma, come volle la sorte, non venne bene, per che, conosciuto il disordine, senza perdersi d’animo o sgomentarsi, fatta l’altra forma con prestezza senza che niuno lo sapesse, lo rigettò e venne benissimo. Onde così andò seguitando tutta l’opera, gettando ciascuna storia da per sè e rimettendole, nette che erano, al luogo suo. E lo spartimento dell’istorie fu simile a quello che aveva già fatto Andrea Pisano nella prima porta che gli disegnò Giotto, facendovi venti storie del Testamento Nuovo. Et in otto vani simili a quelli, seguitando le dette storie, da piè fece i quattro Evangelisti, due per porta, e così i quattro Dottori della chiesa nel medesimo modo, i quali sono differenti fra loro di attitudini e di panni: chi scrive, chi legge, altri pensa, e variati,