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LORENZO GHIBERTI 275

VITA DI LORENZO GHIBERTI SCULTORE

Non è dubio, che in tutte le città, coloro che con qualche virtù vengon in qualche fama fra li uomini, non siano il più delle volte un santissimo lume d’esempio a molti che dopo lor nascono et in quella medesima età vivono, oltra le lodi infinite e lo straordinario premio ch’essi vivendo ne riportano. Nè è cosa che più desti gli animi delle genti e faccia parere loro men faticosa la disciplina degli studi, che l’onore e l’utilità che si cava poi dal sudore delle virtù; perciò che elle rendono facile a ciascheduno ogni impresa difficile, e con maggiore impeto fanno accrescere la virtù loro, quando con le lode del mondo s’inalzano. Per che infiniti, che ciò sentono e veggono, si mettono alle fatiche, per venire in grado di meritare quello che veggono aver meritato un suo compatriota. E per questo anticamente o si premiavano con richezze i virtuosi, o si onoravano con trionfi et imagini. Ma perchè rade volte è che la virtù non sia perseguitata dall’invidia, bisogna ingegnarsi, quanto si può il più, ch’ella sia da una estrema eccellenza superata, o almeno fatta gagliarda e forte a sostenere gl’impeti di quella come ben seppe e per meriti e per sorte Lorenzo di Cione Ghiberti altrimenti di Bartoluccio, il quale meritò da Donato scultore e Filippo Bruneleschi architetto e scultore, eccellenti artefici, essere posto nel luogo loro conoscendo essi in verità, ancora che il senso gli strignesse forse a fare il contrario, che Lorenzo era migliore maestro di loro nel getto. Fu veramente ciò gloria di quegli e confusione di molti, i quali, presumendo di sè, si mettono in opera et occupano il luogo dell’altrui virtù, e non facendo essi frutto alcuno, ma penando mille anni a fare una cosa, sturbano et opprimono la scienzia degli altri con malignità e con invidia. Fu dunque Lorenzo figliuolo di Bartoluccio Ghiberti, e dai suoi primi anni imparò l’arte dell’orefice col padre, il quale era eccellente maestro e gl’insegnò quel mestiero, il quale da Lorenzo fu preso talmente, ch’egli lo faceva assai meglio che ’l padre. Ma dilettandosi molto più de l’arte della scultura e del disegno, manegiava qualche volta i colori et alcun’altra gettava figurette piccole di bronzo e le finiva con molta grazia. Dilettossi anco di contraffare i conii delle medaglie antiche, e di naturale nel suo tempo ritrasse molti suoi amici. E mentre egli con Bartoluccio lavorando cercava acquistare in quella professione, venne in Fiorenza (la peste) l’anno 1400, secondo che racconta egli medesimo in un libro di sua mano dove ragiona delle cose dell’arte, il quale è appresso al reverendo Messer Cosimo Bartoli gentiluomo fiorentino. Alla quale peste aggiuntesi alcune discordie civili et altri travagli della città, gli fu forza partirsi et andarse in compagnia d’un altro pittore in Romagna; dove, in Arimini, dipinsero al signor Pandolfo Malatesti una camera e molti altri lavori, che da lor furono con diligenza finiti e con sodisfazione di quel signore, che ancora giovanetto si dilettava assai delle cose del disegno. Non restando perciò in quel mentre Lorenzo di studiare le cose del disegno, nè di lavorare di rilievo cera, stucchi et altre cose simili, conoscendo egli molto bene che sì fatti rilievi piccoli sono il disegnare degli scultori e che senza cotale disegno non si può da loro condurre alcuna cosa a perfezzione. Ora,