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IACOPO DELLA QUERCIA 251

vaga e piacevole, avendo Iacopo con bella arte fatto sfuggire le figure in su’ piani, e nel diminuire più basse. Similmente diede molto animo agl’altri d’acquistare alle loro opere grazia e bellezza con nuovi modi, avendo in due lapide grandi, fatte di basso rilievo per due sepolture, ritratto di naturale Federigo padrone dell’opera e la moglie. Nelle quali lapide sono queste parole: "Hoc opus fecit Iacobus Magistri Petri de Senis 1422". Venendo poi Iacopo a Firenze, gl’Operai di Santa Maria del Fiore, per la buona relazione avuta di lui, gli diedero a fare di marmo il frontespizio, che è sopra la porta di quella chiesa la quale va alla Nunziata; dove egli fece in una mandorla la Madonna, la quale da un coro d’Angeli è portata, sonando eglino e cantando, in cielo con le più belle movenze e con le più belle attitudini, vedendosi che hanno moto e fierezza nel volare, che fussero insino allora state fatte mai. Similmente la Madonna è vestita con tanta grazia et onestà, che non si può immaginare meglio, essendo il girare delle pieghe molto bello e morbido, e vedendosi ne’ lembi de’ panni, che e’ vanno accompagnando l’ignudo di quella figura, che scuopre coprendo ogni svoltare di membra. Sotto la quale Madonna è un San Tommaso che riceve la cintola. Insomma questa opera fu condotta in quattro anni da Iacopo con tutta quella maggior perfezione che a lui fu possibile, perciò che oltre al disiderio che aveva naturalmente di far bene, la concorrenza di Donato, di Filippo e di Lorenzo di Bartolo, de’ quali già si vedevano alcune opere molto lodate, lo sforzarono anco da vantaggio a fare quello che fece; il che fu tanto, che anco oggi è dai moderni artefici guardata questa opera come cosa rarissima. Dall’altra banda della Madonna, dirimpetto a San Tomaso, fece Iacopo un orso che monta in sur un pero, sopra il quale capriccio, come si disse allora molte cose, così se ne potrebbe anco da noi dire alcune altre, ma le tacerò per lasciare a ognuno sopra cotale invenzione credere e pensare a suo modo. Disiderando dopo ciò Iacopo di rivedere la patria, se ne tornò a Siena, dove, arrivato che fu, se gli porse, secondo il desiderio suo, occasione di lasciare in quella di sè qualche onorata memoria. Perciò che la Signoria di Siena, risoluta di fare un ornamento ricchissimo di marmi all’acqua che in sulla piazza avevano condotta Agnolo et Agostino Sanesi l’anno 1343, allogarono quell’opera a Iacopo per prezzo di duemiladugento scudi d’oro, onde egli, fatto un modello e fatti venire i marmi, vi mise mano e la finì di fare con molta sodisfazione de’ suoi cittadini, che non più Iacopo dalla Quercia, ma Iacopo dalla Fonte fu poi sempre chiamato. Intagliò dunque nel mezzo di questa opera la gloriosa Vergine Maria, avvocata particolare di quella città, un poco maggiore dell’altre figure, e con maniera graziosa e singolare. Intorno poi fece le sette virtù teologiche, le teste delle quali, che sono delicate e piacevoli, fece con bell’aria e con certi modi che mostrano che egli cominciò a trovare il buono (nel)le difficultà dell’arte et a dare grazia al marmo, levando via quella vecchiaia che avevano insino allora usato gli scultori, facendo le loro figure intere e senza una grazia al mondo; là dove Iacopo le fece morbide e carnose, e finì il marmo con pacienza e delicatezza. Fecevi, oltre ciò, alcune storie del Testamento Vecchio, cioè la creazione de’ primi parenti et il mangiar del pomo vietato, dove nella figura della femmina si vede un’aria nel viso sì bella, et una grazia et attitudine della persona tanto reverente verso Adamo nel porgergli il pomo, che non pare che possa ricusarlo; senza il rimanente dell’opera, che è tutta piena di bellissime considerazioni et