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DELLE VITE 245

(versione diplomatica)


(versione critica)


più alla natura che non quegli innanzi, e scoperse in parte qualcosa de lo sfuggire e scortare le figure. Oltre a questo egli diede principio agli affetti che si conoscesse in parte il timore, la speranza, l’ira e lo amore; e ridusse a una morbidezza la sua maniera che prima era e ruvida e scabrosa; e se non fece gli occhi con quel bel girare che fa il vivo e con la fine de’ suoi lagrimatoi et i capegli morbidi, e le barbe piumose, e le mani con quelle sue nodature e muscoli, e gli ignudi come il vero, scusilo la difficultà dell’arte et il non aver visto pittori migliori di lui. E pigli ognuno in quella povertà dell’arte e de’ tempi, la bontà del giudizio nelle sue istorie, l’osservanza dell’arie, e l’obedienza di un naturale molto facile, perchè pur si vede che le figure obbedivano a quel che elle avevano a fare; e perciò si mostra che egli ebbe un giudizio molto buono, se non perfetto. E questo medesimo si vede poi negli altri, come in Taddeo Gaddi nel colorito, il quale è più dolce et ha più forza; e dette megliori incarnazioni e colore ne’ panni, e più gagliardezza ne’ moti alle sue figure. In Simon Sanese si vede il decoro nel compor le storie; in Stefano Scimmia et in Tommaso suo figliuolo, che arecarono grande utile e perfezzione al disegno, et invenzione alla prospettiva e lo sfumare et unire de’ colori, riservando sempre la maniera di Giotto. Il simile feciono nella pratica e destrezza Spinello aretino, Parri suo figliuolo, Iacopo di Casentino, Antonio Veniziano, Lippo e Gherardo Starnini e gli altri pittori che lavorarono dopo Giotto, seguitando la sua aria, lineamento, colorito, maniera et ancora migliorandola qualche poco, ma non tanto però che e’ paresse ch’e’ la volessino tirare ad altro segno. Laonde chi considererà questo mio discorso vedrà queste tre arti fino qui essere state come dire abbozzate, e mancar loro assai di quella perfezzione che elle meritavano; e certo, se non veniva meglio, poco giovava questo miglioramento e non era da tenerne troppo conto. Nè voglio che alcuno creda che io sia sì grosso, nè di sì poco giudizio, che io non conosca che le cose di Giotto e di Andrea Pisano e Nino e degli altri tutti, che per la similitudine delle maniere ho messi insieme nella Prima Parte, se elle si compareranno a quelle di coloro che dopo loro hanno operato, non meriteranno lode straordinaria nè anche mediocre; nè è che io non abbia ciò veduto, quando io gli ho laudati. Ma chi considererà la qualità di que’ tempi, la carestia degli artefici, la difficultà de’ buoni aiuti, le terrà non belle, come ho detto io, ma miracolose, et arà piacere infinito di vedere i primi principii e quelle scintille di buono che nelle pitture e sculture cominciavono a risuscitare. Non fu certo la vittoria di Lucio Marzio in Spagna tanto grande, che molte non avessino i Romani delle maggiori. Ma avendo rispetto al tempo, al luogo, al caso, alla persona et al numero, ella fu tenuta stupenda et ancor oggi pur degna delle lodi, che infinite e grandissime le son date dagli scrittori. Così a me, per tutti i sopra detti rispetti, è parso che e’ meritino non solamente d’essere scritti da me con diligenza, ma laudati con quello amore e sicurtà che io ho fatto. E penso che non sarà stato fastidioso a’ miei artefici l’aver udite queste lor Vite e considerato le lor maniere e’ lor modi: e ne ritrarranno forse non poco utile,