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210 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


Milano ai servigii di Taddeo loro maestro, molte cose lavorando, e gli fu fatto dipignere il tabernacolo della Madonna di Mercato Vecchio con la tavola a tempera, e similmente quello sul canto della piazza di S. Niccolò della via del Cocomero, che pochi anni sono l’uno e l’altro fu rifatto da peggior maestro che Iacopo non era. Et ai Tintori quello che è a S. Nofri sul canto delle mura dell’orto loro, dirimpetto a S. Giuseppo. In questo mentre, essendosi condotte a fine le volte d’Or S. Michele sopra i dodici pilastri, e sopra esse posto un tetto basso alla salvatica, per seguitare quando si potesse la fabrica di quel palazzo che aveva a essere il granaio del Comune, fu dato a Iacopo di Casentino, come a persona allora molto pratica, a dipignere quelle volte con ordine che egli vi facesse, come vi fece, con i Patriarchi alcuni Profeti et i primi delle tribù, che furono in tutto sedici figure in campo azzurro d’oltramarino, oggi mezzo guasto, senza gl’altri ornamenti. Fece poi nelle facce di sotto e nei pilastri molti miracoli della Madonna et altre cose che si conoscono alla maniera. Finito questo lavoro, tornò Iacopo in Casentino, dove, poi che in Pratovecchio, in Poppi et altri luoghi di quella valle ebbe fatto molte opere, si condusse in Arezzo, che allora si governava da se medesima, col consiglio di sessanta cittadini de’ più ricchi e più onorati, alla cura de’ quali era commesso tutto il reggimento; dove, nella capella principale del Vescovado, dipinse una storia di S. Martino, e nel Duomo vecchio, oggi rovinato, pitture assai, fra le quali era il ritratto di Papa Innocenzo Sesto, nella capella maggiore. Nella chiesa poi di S. Bartolomeo, per lo capitolo de’ canonici della Pieve, fece la facciata dov’è l’altar maggiore e la capella di S. Maria della Neve. E nella Compagnia vecchia di S. Giovanni de’ Peducci fece molte storie di quel Santo, che oggi sono coperte di bianco. Lavorò similmente nella chiesa di S. Domenico la capella di S. Cristofano, ritraendovi di naturale il beato Masuolo che libera dalle carcere un mercante de’ Fei che fece far quella capella; il quale beato ne’ suoi tempi, come profeta, predisse molte disaventure agl’Aretini. Nella chiesa di S. Agostino fece a fresco nella capella e all’altar de’ Nardi, storie di S. Lorenzo con maniera e pratica maravigliosa. E perchè si esercitava anche nelle cose d’architettura, per ordine dei sessanta sopradetti cittadini ricondusse sotto le mura d’Arezzo l’acqua che viene dalle radici del Poggio di Pori, vicino alla città braccia 300; la quale acqua al tempo de’ Romani era stata prima condotta al teatro, di che ancora vi sono le vestigie, e da quello, che era in sul monte dove oggi è la fortezza, a l’amfiteatro della medesima città, nel piano; i quali edifizii e condotti furono rovinati e guasti del tutto dai Gotti. Avendo dunque, come s’è detto, fatta venire Iacopo quest’acqua sotto le mura, fece la fonte che all’ora fu chiamata fonte Guizianelli, e che ora è detta, essendo il vocabolo corrotto, fonte Viniziana; la quale da quel tempo, che fu l’anno 1354, durò insino all’anno 1527, e non più; perciò che la peste di quell’anno, la guerra che fu poi, l’averla molti a’ suoi commodi tirata per uso d’orti e molto più il non averla Iacopo condotta dentro, sono state cagione ch’ella non è oggi, come doverebbe essere, in piedi. Mentre che l’acqua si andava conducendo non lasciando Iacopo il dipignere, fece nel palazzo che era nella cittadella vecchia, rovinato a’ dì nostri, molte storie de’ fatti del Vescovo Guido e di Piero Sacconi, i quali uomini in pace et in guerra avevano grandi et onorate cose