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206 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


VITA DI ANTONIO VINIZIANO PITTORE

Molti, che si starebbono nelle patrie loro dove son nati, essendo trafitti dai morsi dell’invidia et oppressi dalla tirannia de’ suoi cittadini, se ne partono, e que’ luoghi dove trovano essere la virtù loro conosciuta e premiata elegendosi per patria, in quella fanno l’opere loro, e sforzandosi d’essere eccellentissimi per fare in un certo modo ingiuria a coloro da chi sono stati oltraggiati, divengono bene spesso grand’uomini, dove nella patria standosi quietamente, sarebbono per aventura poco più che mediocri nell’arti loro riusciti. Antonio Viniziano, il quale si condusse a Firenze dietro a Agnolo Gaddi per imparare la pittura, apprese di maniera il buon modo di fare, che non solamente fu stimato et amato da’ Fiorentini, ma carezzato ancora grandemente per questa virtù e per l’altre buone qualità sue. Laonde, venutogli voglia di farsi vedere nella sua città per godere qualche frutto delle fatiche da lui durate, si tornò a Vinegia; dove, essendosi fatto conoscere per molte cose fatte a fresco et a tempera, gli fu dato dalla signoria a dipignere una delle facciate della sala del consiglio; la quale egli condusse sì eccellentemente e con tanta maestà che secondo meritava n’arebbe conseguito onorato premio; ma la emulazione o, più tosto, invidia degl’artefici et il favore che ad altri pittori forestieri fecero alcuni gentiluomini, fu cagione che altramente andò la bisogna; onde il poverello Antonio, trovandosi così percosso et abbattuto, per miglior partito se ne ritornò a Fiorenza, con proposito di non volere mai più a Vinegia ritornare, deliberato del tutto che sua patria fusse Fiorenza. Standosi dunque in quella città, dipinse nel chiostro di Santo Spirito, in un archetto, Cristo che chiama Pietro et Andrea dalle reti, e Zebedeo et i figliuoli. E sotto i tre archetti di Stefano, dipinse la storia del miracolo di Cristo ne’ pani e ne’ pesci, nella quale infinita diligenza et amore dimostrò, come apertamente si vede nella figura d’esso Cristo, che nell’aria del viso e nell’aspetto, mostra la compassione che egli ha delle turbe e l’ardore della carità con la quale fa dispensare il pane. Vedesi medesimamente in gesto bellissimo l’affezione d’uno Apostolo, che dispensando con una cesta il pane grandemente s’affatica; nel che s’impara da chi è dell’arte a dipignere sempre le figure in maniera che paia ch’elle favellino, perchè altrimenti non sono pregiate. Dimostrò questo medesimo Antonio nel frontespizio di sopra, in una storietta piccola della Manna con tanta diligenza lavorata e con sì buona grazia finita, che si può veramente chiamare eccellente. Dopo, fece in Santo Stefano al ponte Vecchio, nella predella dell’altar maggiore, alcune storie di Santo Stefano con tanto amore che non si può vedere nè le più graziose nè le più belle figure, quand’anche fussero di minio. A Santo Antonio ancora al ponte alla Carraia, dipinse l’arco sopra la porta che a’ nostri dì fu fatto insieme con tutta la chiesa gettare in terra da monsignor Ricasoli, vescovo di Pistoia, perchè toglieva la veduta alle sue case; benchè, quando egli non avesse ciò fatto, a ogni modo saremmo oggi privi di quell’opera, avendo il prossimo diluvio del 1557, come altra volta si è detto, da