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TOMMASO DETTO GIOTTINO 189

(versione diplomatica)


(versione critica)


VITA DI TOMMASO FIORENTINO PITTORE DETTO GIOTTINO

Quando, fra l’altre arti, quelle che procedono dal disegno si pigliano in gara e gl’artefici lavorano a concorrenza, senza dubbio, essercitandosi i buoni ingegni con molto studio, truovano ogni giorno nuove cose per sodisfare ai varii gusti degl’uomini; e parlando per ora della pittura, alcuni, ponendo in opera cose oscure et inusitate e mostrando in quelle la difficultà del fare, fanno nell’ombre la chiarezza del loro ingegno conoscere; altri, lavorando le dolci e delicate, pensando quelle dover essere più grate agl’occhi di chi le mira per avere più rilievo, tirano agevolmente a sè gl’animi della maggior parte degl’uomini; altri poi, dipingendo unitamente e con abagliare i colori, ribattendo a’ suoi luoghi i lumi e l’ombre delle figure, meritano grandissima lode e mostrano con bella destrezza d’animo i discorsi dell’intelletto, come con dolce maniera mostrò sempre nell’opere sue Tommaso di Stefano, detto Giottino, il quale, essendo nato l’anno 1324, dopo l’avere imparato da suo padre i primi principii della pittura, si resolvè, essendo ancor giovanetto, volere, in quanto potesse con assiduo studio, essere immitatore della maniera di Giotto più tosto che di quella di Stefano suo padre; la qual cosa gli venne così ben fatta che ne cavò, oltre alla maniera, che fu molto più bella di quella del suo maestro, il sopra nome di Giottino che non gli cascò mai; anzi fu parere di molti, e per la maniera e per lo nome, i quali però furono in grandissimo errore, che fusse figliuolo di Giotto; ma in vero non è così, essendo cosa certa, o per dir meglio credenza (non potendosi così fatte cose affermare da ognuno), che fu figliuolo di Stefano pittore fiorentino. Fu dunque costui nella pittura sì diligente e di quella tanto amorevole che, se bene molte opere di lui non si ritrovano, quelle nondimeno che trovate si sono erano buone e di bella maniera, perciò che i panni, i capegli, le barbe et ogni altro suo lavoro furono fatti et uniti con tanta morbidezza e diligenza, che si vede ch’egli aggiunse senza dubbio l’unione a quest’arte e l’ebbe molto più perfetta che Giotto suo maestro e Stefano suo padre avuta non aveano. Dipinse Giottino nella sua giovanezza in S. Stefano al ponte Vecchio di Firenze una capella allato alla porta del fianco, che se bene è oggi molto guasta dalla umidità, in quel poco che è rimasto si vede la destrezza e l’ingegno dell’artefice; fece poi al canto alla Macine ne’ frati Ermini, i Santi Cosimo e Damiano, che spenti dal tempo ancor essi oggi poco si veggono. E lavorò in fresco una capella nel vecchio S. Spirito di detta città, che poi nell’incendio di quel tempio rovinò; et in fresco sopra la porta principale della chiesa la storia della missione dello Spirito Santo, e su la piazza di detta chiesa, per ire al canto alla Cuculia, sul cantone del convento, quel tabernacolo che ancora vi si vede con la Nostra Donna et altri Santi d’attorno che tirano, e nelle teste e nell’altre parti, forte alla maniera moderna, perchè cercò variare e cangiare le carnagioni et accompagnare nella varietà de’ colori e ne’ panni con grazia e giudizio tutte le figure. Costui medesimamente lavorò in S.