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184 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


con alcune altre parole, che malamente s’intendono. Di sotto poi, nell’ornamento di questa storia, sono nove Angeli, che tengono in alcune accomodate scritte, motti volgari e latini, posti in quel luogo da basso, perchè in alto guastavano la storia; et il non gli porre nell’opera, pareva mal fatto all’auttore, che gli reputava bellissimi, e forse erano ai gusti di quell’età; da noi si lasciano la maggior parte per non fastidire altrui con simili cose impertinenti e poco dilettevoli, senzachè, essendo il più di cotali brevi cancellati, il rimanente viene a restare poco meno che imperfetto. Facendo dopo queste cose l’Orgagna il Giudizio, collocò Gesù Cristo in alto sopra le nuvole in mezzo ai dodici suoi Apostoli, (a) giudicare i vivi et i morti, mostrando con bell’arte e molto vivamente, da un lato i dolorosi affetti de’ dannati, che, piangendo, sono da furiosi Demonii strascinati all’inferno; e dall’altro la letizia et il giubilo de’ buoni, che da una squadra d’Angeli guidati da Michele Arcangelo sono, come eletti, tutti festosi tirati alla parte destra de’ beati. Et è un peccato veramente che, per mancamento di scrittori, in tanta moltitudine d’uomini togati, cavallieri et altri signori che vi sono effigiati e ritratti dal naturale, come si vede di nessuno o di pochissimi, si sappiano i nomi o chi furono. Ben si dice che un papa, che vi si vede, è Innocenzio Quarto, amico di Manfredi. Dopo quest’opera et alcune sculture di marmo fatte con suo molto onore nella Madonna, ch’è in su la coscia del ponte Vecchio, lasciando Bernardo suo fratello a lavorare in Camposanto da per sè un Inferno, secondo che è descritto da Dante, che fu poi l’anno 1530 guasto e racconcio dal Sollazzino, pittore de’ tempi nostri, se ne tornò Andrea a Fiorenza, dove nel mezzo della chiesa di Santa Croce a man destra, in una grandissima facciata, dipinse a fresco le medesime cose che dipinse nel Camposanto di Pisa, in tre quadri simili, eccetto però la storia dove San Macario mostra a’ tre re la miseria umana; e la vita de’ romiti, che servono a Dio in su quel monte. Facendo dunque tutto il resto dell’opera, lavorò in questa con miglior disegno e più diligenza, che a Pisa fatto non avea, tenendo nondimeno quasi il medesimo modo nell’invenzioni, nelle maniere, nelle scritte e nel rimanente senza mutare altro che i ritratti di naturale: perchè quelli di quest’opera furono parte d’amici suoi carissimi, quali mise in Paradiso e parte di poco amici che furono da lui posti nell’Inferno. Fra i buoni si vede in profilo col regno in capo, ritratto di naturale Papa Clemente Sesto, che al tempo suo ridusse il Giubileo dai cento ai cinquanta anni, e che fu amico de’ Fiorentini, et ebbe delle sue pitture che gli furon carissime; fra i medesimi è maestro Dino del Garbo, medico allora eccellentissimo, vestito come allora usavano i dottori, e con una berretta rossa in capo foderata di vai, e tenuto per mano da un Angelo, con altri assai ritratti, che non si riconoscono. Fra i dannati ritrasse il Guardi, messo del Comune di Firenze stra(s)cinato dal Diavolo con un oncino, e si conosce a’ tre gigli rossi, che ha in una beretta bianca, secondo che allora portavano i messi et altre simili brigate; e questo, perchè una volta lo pegnorò; vi ritrasse ancora il notaio et il giudice, che in quella causa gli furono contrari. Appresso al Guardi è Cecco da Ascoli, famoso mago di que’ tempi. E poco di sopra, cioè nel mezzo, è un frate ipocrito, che, uscito d’una sepoltura, si vuole furtivamente mettere fra i buoni, mentre un Angelo lo scuopre e lo spigne fra i