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VITA DI BUONAMICO BUFFALMACCO 155

(versione diplomatica)


(versione critica)


altre molte parole seppe così bene acconciar la bisogna Buffalmacco, facendogli buono ciò che diceva messer lo prete, che Tafo si rimase di levarsi a vegghia e i diavoli d’andar la notte per casa co’ lumicini. Ma ricominciando Tafo, tirato dal guadagno, non molti mesi dopo, e quasi scordatosi ogni paura, a levarsi di nuovo a lavorare la notte e chiamare Buffalmacco, ricominciarono anco i scarafaggi a andar a torno; onde fu forza che per paura se ne rimanesse interamente, essendo a ciò massimamente consigliato dal prete. Dopo divolgatasi questa cosa per la città, fu cagione che per un pezzo, nè Tafo nè altri pittori costumarono di levarsi a lavorare la notte. Essendo poi, indi a non molto, divenuto Buffalmacco assai buon maestro, si partì, come racconta il medesimo Franco, da Tafo, e cominciò a lavorare da sè, non gli mancando mai che fare. Ora, avendo egli tolto una casa per lavorarvi et abitarvi, che aveva allato un lavorante di lana assai agiato, il quale essendo un nuovo ucello, era chiamato Capodoca, la moglie di costui ogni notte si levava a matutino, quando appunto avendo insino allora lavorato, andava Buffalmacco a riposarsi; e postasi a un suo filatoio, il quale aveva per mala ventura piantato dirimpetto al letto di Buffalmacco, attendeva tutta notte a filar lo stame. Per che non potendo Buonamico dormire nè poco nè assai, cominciò a andar pensando come potesse a questa noia rimediare. Nè passò molto, che s’avide che dopo un muro di mattoni sopra mattoni, il quale divideva fra sè e Capodoca, era il focolare della mala vicina, e che per un rotto si vedeva ciò che ella intorno al fuoco faceva: per che pensata una nuova malizia, forò, con un succhio lungo, una canna, et apostato che la donna di Capodoca non fusse al fuoco, con essa per lo già detto rotto del muro mise una et un’altra volta quanto sale egli volle nella pentola della vicina: onde tornando Capodoca o a desinare o a cena, il più delle volte non poteva nè mangiar, nè assaggiar nè minestra nè carne, in modo era ogni cosa per lo troppo sale amara. Per una o due volte ebbe pacienza, e solamente ne fece un poco di rumore; ma poi che vide che le parole non bastavano, diede per ciò più volte delle busse alla povera donna che si disperava, parendole pur essere più che avvertita nel salar il cotto. Costei una volta fra l’altre che il marito per ciò la batteva, cominciò a volersi scusare; per che venuta a Capodoca maggior collera, di modo si mise di nuovo a percuoterla, che gridando ella a più potere, corse tutto il vicinato a rumore; e fra gli altri vi trasse Buffalmacco, il quale udito quello di che accusava Capodoca la moglie, et in che modo ella si scusava, disse a Capodoca: "Gnaffe, sozio, egli si vuole aver discrezione; tu ti duoli che il cotto mattina e sera è troppo salato, et io mi maraviglio che questa tua buona donna faccia cosa che bene stia. Io per me non so come il giorno ella si sostenga in piedi, considerando che tutta la notte vegghia intorno a questo suo filatoio e non dorme, ch’io creda, un’ora. Fa ch’ella si rimanga di questo suo levarsi a mezza notte, e vedrai che avendo il suo bisogno di dormire, ella starà il giorno in cervello e non incorrerà in così fatti errori". Poi rivoltosi agli altri vicini, sì bene fece parer loro la cosa grande, che tutti dissero a Capodoca che Buonamico diceva il vero, e così si voleva fare come egli avisava. Onde egli credendo che così fusse, le comandò che non si levasse a vegghia; et il cotto fu poi ragionevolmente salato, se non quando per caso la donna