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138 PRIMA PARTE

(versione diplomatica)


(versione critica)


fatta occasione di mettere ad effetto quello di che si era molte volte ma invano insino allora ragionato, cioè di fare una fonte publica in su la piazza principale e dirimpetto al palagio della Signoria. Per che, datone cura ad Agostino et Agnolo, eglino condussono per canali di piombo e di terra, ancor che molto difficile fusse, l’acqua di quella fonte, la quale cominciò a gettare l’anno 1343 a dì primo di giugno, con molto piacere e contento di tutta la città, che restò per ciò molto obligata alla virtù di questi due suoi cittadini. Nel medesimo tempo si fece la sala del consiglio maggiore nel palazzo del publico; e così fu con ordine e col disegno dei medesimi condotta al suo fine la torre del detto palazzo l’anno 1344, e postovi sopra due campane grandi, delle quali una ebbono da Grosseto e l’altra fu fatta in Siena. Trovandosi finalmente Agnolo nella città d’Ascesi, dove nella chiesa di sotto di S. Francesco fece una capella e una sepoltura di marmo per un fratello di Napoleone Orsino, il quale essendo cardinale e frate di S. Francesco, s’era morto in quel luogo; Agostino, che a Siena era rimaso per servigio del publico, si morì mentre andava facendo il disegno degl’ornamenti della detta fonte di piazza, e fu in Duomo orrevolmente sepellito. Non ho già trovato, e però non posso alcuna cosa dirne, nè come nè quando morisse Agnolo, nè manco altre opere d’importanza di mano di costoro, e però sia questo il fine della vita loro. Ora, perchè sarebbe senza dubbio errore, seguendo l’ordine de’ tempi, non fare menzione d’alcuni, che sebbene non hanno tante cose adoperato che si possa scrivere tutta la vita loro, hanno nondimeno in qualche cosa aggiunto commodo e bellezza all’arte e al mondo, pigliando occasione da quello che di sopra si è detto del Vescovado d’Arezzo e della Pieve, dico che Pietro e Paolo orefici aretini, i quali impararono a disegnare da Agnolo et Agostino sanesi, furono i primi che di cesello lavorarono opere grande di qualche bontà; perciò che per un arciprete della Pieve d’Arezzo condussono una testa d’argento grande quanto il vivo, nella quale fu messa la testa di S. Donato vescovo e protettore di quella città: la quale opera non fu se non lodevole, sì perchè in essa feciono alcune figure smaltate assai belle et altri ornamenti, e sì perchè fu delle prime cose che fussero, come si è detto, lavorate di cesello. Quasi ne’ medesimi tempi o poco inanzi, l’Arte di Calimara di Firenze fece fare a maestro Cione orefice eccellente, se non tutto, la maggior parte dell’altare d’argento di S. Giovanni Batista, nel quale sono molte storie della vita di quel Santo, cavate d’una piastra d’argento in figure di mezzo rilievo, ragionevoli; la quale opera fu, e per grandezza e per essere cosa nuova, tenuta da chiunche la vide maravigliosa. Il medesimo maestro Cione l’anno 1330, essendosi sotto le volte di S. Reparata trovato il corpo di S. Zanobi, legò in una testa d’argento grande quanto il naturale quel pezzo della testa di quel Santo, che ancora oggi si serba nella medesima d’argento e si porta a processione: la quale testa fu allora tenuta cosa bellissima, e diede gran nome all’artefice suo, che non molto dopo, essendo ricco et in gran reputazione, si morì. Lasciò maestro Cione molti discepoli, e fra gli altri Forzore di Spinello aretino, che lavorò d’ogni cesellamento benissimo, ma in particolare fu eccellente in fare storie d’argento a fuoco smaltate, come ne fanno fede nel Vescovado