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VITA DI NICOLA ET GIOVANNI 101

(versione diplomatica)


(versione critica)


molto, a miglior forma e lo fece più magnifico che non era prima. Poi ritornato finalmente a Pisa, fece il pergamo di S. Giovanni di marmo, ponendovi ogni diligenza per lasciare di sè memoria alla patria; e fra l’altre cose intagliando in essa il Giudicio Universale, vi fece molte figure, se non con perfetto disegno, almeno con pacienza e diligenza infinita, come si può vedere; e perchè gli parve, come era vero, aver fatto opera degna di lode, v’intagliò a’ piè questi versi:

Anno milleno bis centum bisque trideno hoc opus insigne sculpsit Nicola Pisanus.

I Sanesi mossi dalla fama di quest’opera, che piacque molto non solo a’ Pisani ma a chiunque la vide, allogarono a Nicola il pergamo del loro Duomo, dove si canta l’Evangelio, essendo pretore Guglielmo Mariscotti: nel quale fece Nicola molte storie di Gesù Cristo con molta sua lode, per le figure che vi sono lavorate e con molta difficultà spiccate intorno intorno dal marmo. Fece similmente Nicola il disegno della chiesa e convento di S. Domenico d’Arezzo ai signori di Pietramala che lo edificarono, et ai preghi del vescovo degli Ubertini restaurò la Pieve di Cortona, e fondò la chiesa di S. Margherita pe’ frati di S. Francesco in sul più alto luogo di quella città. Onde crescendo per tante opere sempre più la fama di Nicola, fu l’anno 1267 chiamato da papa Clemente Quarto a Viterbo, dove, oltre a molte altre cose, restaurò la chiesa e convento de’ frati Predicatori. Da Viterbo andò a Napoli al re Carlo Primo, il quale avendo rotto e morto nel pian di Tagliacozzo Curradino, fece far in quel luogo una chiesa e Badia ricchissima, e sepellire in essa l’infinito numero de’ corpi morti in quella giornata, ordinando appresso che da molti monaci fusse giorno e notte pregato per l’anime loro. Nella qual fabrica restò in modo sodisfatto il re Carlo dell’opera di Nicola, che l’onorò e premiò grandemente. Da Napoli tornando in Toscana si fermò Nicola alla fabbrica di S. Maria d’Orvieto, e lavorandovi in compagnia d’alcuni tedeschi, vi fece di marmo per la facciata dinanzi di quella chiesa alcune figure tonde, e particolarmente due storie del Giudizio Universale, et in esse il Paradiso e l’Inferno. E sì come si forzò di fare nel Paradiso, della maggior bellezza che seppe, l’anime de’ beati ne’ loro corpi ritornate, così nell’Inferno fece le più strane forme di diavoli che si possino vedere, intentissime al tormentar l’anime dannate. Nella quale opera non che i tedeschi che quivi lavoravano, ma superò se stesso con molta sua lode. E perchè vi fece gran numero di figure, e vi durò molta fatica, è stato, non che altro, lodato insino a’ tempi nostri da chi non ha avuto più giudicio che tanto nella scultura. Ebbe fra gli altri Nicola un figliuolo chiamato Giovanni, il quale perchè seguitò sempre il padre e sotto la disciplina di lui attese alla scultura et all’architettura, in pochi anni divenne non solo eguale al padre, ma in alcuna cosa superiore; onde, essendo già vecchio Nicola, si ritirò in Pisa, e lì vivendo quietamente, lasciava d’ogni cosa il governo al figliuolo. Essendo dunque morto in Perugia papa Urbano Quarto fu mandato per Giovanni, il quale andato là fece la sepoltura di quel Pontefice, di marmo, la quale insieme con quella di papa Martino IIII fu poi gettata per terra, quando i Perugini aggrandirono il loro Vescovado, di modo che se ne veggiono solamente