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intorno a que’ fiumi che egli aveva rassettati, ancor che forse non per suo difetto in tutto fusse ciò avenuto. Comunche fusse, o la malignità d’alcuni ministri e forse l’invidia, o che pure fusse così il vero, fu di tutti que’ danni data la colpa al Tribolo, il quale non essendo di molto animo et anzi scarso di partiti che no, dubitando che la malignità di qualcuno non gli facesse perdere la grazia del Duca, si stava di malissima voglia, quando gli sopragiunse, essendo di debole complessione, una grandissima febre a dì 20 d’agosto, l’anno 1550, nel qual tempo, essendo Giorgio in Firenze per far condurre a Roma i marmi delle sepolture che papa Giulio Terzo fece fare in San Piero a Montorio, come quelli che veramente amava la virtù del Tribolo lo visitò e confortò, pregandolo che non pensasse se non alla sanità e che guarito si ritraesse a finire l’opera di Castello, lasciando andare i fiumi, che più tosto potevano affogargli la fama che fargli utile o onore nessuno. La qual cosa come promise di voler fare, arebbe, mi credo io, fatta per ogni modo se non fusse stato impedito dalla morte, che gli chiuse gl’occhi a dì 7 settembre del medesimo anno. E così l’opere di Castello, state da lui cominciate e messe inanzi, rimasero imperfette perciò che, se bene si è lavorato dopo lui ora una cosa et ora un’altra, non però vi si è mai atteso con quella diligenza e prestezza che si faceva vivendo il Tribolo e quando il signor Duca era caldissimo in quell’opera. E di vero chi non tira inanzi le grandi opere, mentre coloro che fanno farle spendono volentieri e non hanno maggior cura, è cagione che si devia e si lascia imperfetta l’opera che arebbe potuto la sollecitudine e studio condurre a perfezzione. E così per negligenza degl’operatori, rimane il mondo senza quello ornamento et eglino senza quella memoria et onore, perciò che rade volte adiviene, come a quest’opera di Castello, che mancando il primo maestro, quegli che in suo luogo succede voglia finirla secondo il disegno e modello del primo, con quella modestia che Giorgio Vasari, di commessione del Duca, ha fatto, secondo l’ordine del Tribolo, finire il vivaio maggiore di Castello e l’altre cose secondo che di mano in mano vorrà che si faccia sua eccellenza. Visse il Tribolo anni 65. Fu sotterrato dalla Compagnia dello Scalzo nella lor sepoltura e lasciò dopo sé Raffaello suo figliuolo, che non ha atteso all’arte e due figliuole femine, una delle quali è moglie di Davitte, che l’aiutò a murare tutte le cose di Castello, et il quale come persona di giudizio et atto a ciò, oggi attende ai condotti dell’acqua di Fiorenza, di Pisa e di tutti gl’altri luoghi del dominio, secondo che piace a sua eccellenza.

IL FINE DELLA VITA DI NICCOLÒ, DETTO IL TRIBOLO