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vere anco tanto d’aiuto che io vedrò quando che sia finita la terribile impresa delle dette facciate della sala, con piena sodisfazione de’ miei signori, che già, per ispazio di tredici anni, mi hanno dato occasione di grandissime cose, con mio onore et utile operare, per poi, come stracco, logoro et invecchiato riposarmi. E se le cose dette, per la più parte, ho fatto con qualche fretta e prestezza, per diverse cagioni, questa spero io di fare con mio commodo, poi che il signor Duca si contenta che io non la corra, ma la faccia con agio, dandomi tutti quei riposi e quelle ricreazioni che io medesimo so disiderare. Onde l’anno passato, essendo stracco per le molte opere sopra dette, mi diede licenza che io potessi alcuni mesi andare a spasso, per che messomi in viaggio cercai poco meno che tutta Italia, rivedendo infiniti amici, e miei signori, e l’opere di diversi eccellenti artefici, come ho detto di sopra ad altro proposito. In ultimo essendo in Roma per tornarmene a Fiorenza, nel baciare i piedi al santissimo e beatissimo papa Pio Quinto, mi comise che io gli facessi in Fiorenza una tavola per mandarla al suo convento e chiesa del Bosco, ch’egli faceva tuttavia edificare nella sua patria, vicino ad Alessandria della Paglia. Tornato dunque a Fiorenza, e per averlomi Sua Santità comandato, e per le molte amorevolezze fattemi, gli feci, sì come avea commessomi, in una tavola l’Adorazione de’ Magi, la quale come seppe essere stata da me condotta a fine, mi fece intendere che per sua contentezza e per conferirmi alcuni suoi pensieri, io andassi con la detta tavola a Roma, ma sopra tutto per discorrere sopra la fabrica di San Piero, la quale mostra di avere a cuore sommamente. Messomi dunque a ordine con cento scudi, che per ciò mi mandò, e mandata innanzi la tavola, andai a Roma. Dove, poi che fui dimorato un mese, et avuti molti ragionamenti con Sua Santità, e consigliatolo a non permettere che s’alterasse l’ordine del Buonarruoto nella fabrica di San Piero, e fatti alcuni disegni, mi ordinò che io facessi per l’altar maggiore della detta sua chiesa del Bosco, e non una tavola, come s’usa comunemente, ma una machina grandissima quasi a guisa d’arco trionfale, con due tavole grandi, una dinanzi et una di dietro, et in pezzi minori circa trenta storie piene di molte figure che tutte sono a bonissimo termine condotte. Nel qual tempo ottenni graziosamente da Sua Santità (mandandomi con infinita amorevolezza e favore le bolle espedite gratis) la erezione d’una cappella e decanato nella Pieve d’Arezzo, che è la cappella maggiore di detta Pieve, con mio padronato e della casa mia, dotata da me e di mia mano dipinta, et offerta alla bontà divina per una ricognizione (ancor che minima sia) del grande obligo c’ho con sua maiestà per infinite grazie e benefizii che s’è degnato farmi. La tavola della quale, nella forma, è molto simile alla detta di sopra; il che è stato anche cagione in parte di ridurlami a memoria, perché è isolata et ha similmente due tavole, una già tocca di sopra nella parte dinanzi, et una della istoria di S. Giorgio di dietro, messe in mezzo da quadri con certi Santi, e sotto in quadretti minori l’istorie loro che di quanto è sotto l’altare in una bellissima tomba i corpi loro con altre reliquie principali della città. Nel mezzo viene un tabernacolo assai bene accomodato per il Sacramento, perché corrisponde a l’uno e l’altro altare, abellito di istorie del Vecchio e Nuovo Testamento, tutte approposito di quel misterio, come in parte s’è ragionato altrove.