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te e comode in Fiorenza et in villa, perché io potessi più agiatamente servirlo; oltre che nella patria mia d’Arezzo mi ha onorato del supremo magistrato del Gonfalonieri et altri ufizii con facultà che io possa sostituire in quegli un de’ cittadini di quel luogo, senza che a ser Piero mio fratello ha dato in Fiorenza ufizi d’utile, e parimente a’ mia parenti d’Arezzo favori eccessivi, là dove io non sarò mai per le tante amorevolezze sazio di confessar l’obligo che io tengo con questo signore. E tornando all’opere mie dico che pensò questo eccellentissimo signore di mettere ad esecuzione un pensiero avuto già gran tempo, di dipignere la sala grande, concetto degno della altezza e profondità dell’ingegno suo, né so se, come dicea, credo burlando meco, perché pensava certo che io ne caverei le mani, et a’ dì suoi la vederebbe finita, o pur fusse qualche altro suo segreto, e, come sono stati tutti e’ suoi, prudentissimo giudizio. L’effetto insomma fu che mi commesse che si alzassi i cavalli et il tetto più di quel che gl’era braccia tredici, e si facessi il palco di legname, e si mettessi d’oro, e dipignessi pien di storie a olio: impresa grandissima, importantissima e se non sopra l’animo forse sopra le forze mie; ma o che la fede di quel gran signore, e la buona fortuna che gl’ha in tutte le cose, mi facessi da più di quel che io sono, o che la speranza e l’occasione di sì bel suggetto mi agevolassi molto di facultà, o che (e questo dovevo preporre a ogn’altra cosa) la grazia di Dio mi somministrassi le forze, io la presi. E come si è veduto la condussi contra l’openione di molti in molto manco tempo, non solo che io avevo promesso e che meritava l’opera, ma neanche io, o pensassi mai sua eccellenza illustrissima. Ben mi penso che ne venissi maravigliata e sodisfattissima, perché venne fatta al maggior bisogno et alla più bella occasione che gli potessi occorrere, e questa fu, acciò si sappia la cagione di tanta sollecitudine, che avendo prescritto il maritaggio che si trattava dello illustrissimo Principe nostro con la figliuola del passato Imperatore, e sorella del presente, mi parve debito mio far ogni sforzo che in tempo et occasione di tanta festa, questa che era la principale stanza del palazzo, e dove si avevano a far gli atti più importanti, si potessi godere. E qui lascerò pensare non solo a chi è dell’arte, ma a chi è fuora ancora pur che abbi veduto la grandezza e varietà di quell’opera, la quale occasione terribilissima e grande, doverrà scusarmi se io non avessi per cotal fretta satisfatto pienamente in una varietà così grande di guerre in terra et in mare, espugnazioni di città, batterie, assalti, scaramuccie, edificazioni di città, consigli publici, cerimonie antiche e moderne, trionfi, e tante altre cose che non che altro gli schizzi, disegni e cartoni di tanta opera richiedevano lunghissimo tempo, per non dir nulla de’ corpi ignudi, nei quali consiste la perfezzione delle nostre arti, né de’ paesi dove furono fatte le dette cose dipinte, i quali ho tutti avuto a ritrarre di naturale in sul luogo e sito proprio, sì come ancora ho fatto molti capitani generali, soldati et altri capi che furono in quelle imprese che ho dipinto. Et insomma ardirò dire che ho avuto occasione di fare in detto palco quasi tutto quello che può credere pensiero e concetto d’uomo, varietà di corpi, visi, vestimenti, abigliamenti, celate, elmi, corazze, acconciature di capi diverse, cavalli, fornimenti, barde, artiglierie d’ogni sorte, navigazioni, tempeste, pioggie, nevate, e tante altre cose che io non basto a ricordarmene, ma chi vede quest’opera può agevolmente imma-