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Nella quale opera, o per la strettezza del luogo, o altro che ne fusse cagione, non sodisfeci interamente a me stesso, se bene forse ad altri non dispiacque, et in particolare a Michelagnolo. Feci similmente a quel Pontefice un’altra tavola per una cappella del palazzo, ma questa, per le cagioni dette altra volta, fu poi da me condotta in Arezzo e posta in Pieve all’altar maggiore. Ma quando né in questa, né in quella già detta di S. Piero a Montorio, io non avessi pienamente sodisfatto né a me, né ad altri, non sarebbe gran fatto, imperò che, bisognandomi essere continuamente alla voglia di quel Pontefice, era sempre in moto, o vero occupato in far disegni d’architettura, e massimamente essendo io stato il primo che disegnasse e facesse tutta l’invenzione della vigna Iulia, che egli fece fare con spesa incredibile, la quale se bene fu poi da altri essequita, io fui nondimeno quegli che misi sempre in disegno i capricci del Papa, che poi si diedero a rivedere e correggere a Michelagnolo; et Iacopo Barozzi da Vignuola finì con molti suoi disegni le stanze, sale et altri molti ornamenti di quel luogo. Ma la fonte bassa fu d’ordine mio e dell’Amannato, che poi vi restò e fece la loggia che è sopra la fonte. Ma in quell’opera non si poteva mostrare quello che altri sapesse, né far alcuna cosa pel verso, perciò che venivano di mano in mano a quel Papa nuovi capricci, i quali bisognava metter in essecuzione, secondo che ordinava giornalmente Messer Piergiovanni Aliotti, vescovo di Forlì. In quel mentre, bisognandomi l’anno 1550 venire per altro a Fiorenza ben due volte, la prima finii la tavola di San Gismondo, la quale venne il Duca a vedere in casa Messer Ottaviano de’ Medici dove la lavorai, e gli piacque di sorte, che mi disse, finite le cose di Roma, me ne venissi a Fiorenza al suo servizio, dove mi sarebbe ordinato quello avessi da fare. Tornato dunque a Roma e dato fine alle dette opere cominciate, e fatta una tavola all’altar maggiore della Compagnia della Misericordia di un San Giovanni decollato, assai diverso dagl’altri che si fanno comunemente, la quale posi su l’anno 1553, me ne volea tornare, ma fui forzato, non potendogli mancare, a fare a Messer Bindo Altoviti due logge grandissime di stucchi et a fresco. Una delle quali dipinsi alla sua vigna con nuova architettura, perché essendo la loggia tanto grande che non si poteva senza pericolo girarvi le volte, le feci fare con armadure di legname, di stuoie, di canne, sopra le quali si lavorò di stucco, e dipinse a fresco come se fussero di muraglia, e per tale appariscono e son credute da chiunque le vede, e son rette da molti ornamenti di colonne di mischio, antiche e rare; e l’altra nel terreno della sua casa in ponte, piena di storie a fresco. E dopo per lo palco d’una anticamera quattro quadri grandi a olio delle quattro stagioni dell’anno, e questi finiti fui forzato ritrarre per Andrea della Fonte mio amicissimo una sua donna di naturale, e con esso gli diedi un quadro grande d’un Cristo che porta la croce, con figure naturali, il quale aveva fatto per un parente del Papa, al quale non mi tornò poi bene di donarlo. Al vescovo di Vasona feci un Cristo morto tenuto da Niccodemo e da due Angeli, et a Pierantonio Bandini una Natività di Cristo col lume della notte e con varia invenzione. Mentre io faceva quest’opere e stava pure a vedere quello che il Papa disegnasse di fare, vidi finalmente che poco si poteva da lui sperare, e che in vano si faticava in servirlo. Per che, non ostante che io