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che con assai bell’ordine si conoscono tutte le maniere de’ serventi, paggi, scudieri, soldati della guardia, bottiglieria, credenza, musici, et un nano, et ogni altra cosa che a reale e magnifico convito è richiesta. Vi si vede fra gl’altri lo scalco condurre le vivande in tavola, accompagnato da buon numero di paggi vestiti a livrea, et altri scudieri e serventi. Nelle teste della tavola, che è aovata, sono signori et altri gran personaggi e cortigiani che in piedi stanno, come s’usa, a vedere il convito. Il re Assuero stando a mensa come re altero et innamorato sta tutto appoggiato sopra il braccio sinistro, che porge una tazza di vino alla reina, et in atto veramente regio et onorato. Insomma se io avessi a credere quello che allora sentii dirne al popolo, e sento ancora da chiunche vede quest’opera, potrei credere d’aver fatto qualcosa, ma io so da vantaggio come sta la bisogna, e quello che arei fatto se la mano avesse ubidito a quello che io m’era concetto nell’idea. Tuttavia vi misi (questo posso confessare liberamente) studio e diligenza. Sopra l’opera viene nel peduccio d’una volta un Cristo che porge a quella regina una corona di fiori, e questo è fatto in fresco, e vi fu posto per accennare il concetto spirituale della istoria, per la quale si denotava che repudiata l’antica sinagoga Cristo sposava la nuova chiesa de’ suoi fedeli cristiani. Feci in questo medesimo tempo il ritratto di Luigi Guicciardini, fratello di Messer Francesco che scrisse la Storia, per essermi detto Messer Luigi amicissimo et avermi fatto quell’anno, come mio amorevole compare, essendo commensario d’Arezzo, una grandissima tenuta di terre, dette Frassineto in Valdichiana; il che è stata la salute et il maggior bene di casa mia, e sarà de’ miei successori, sì come spero, se non mancheranno a loro stessi. Il quale ritratto, che è appresso gl’eredi di detto Messer Luigi, si dice essere il migliore e più somigliante, d’infiniti che n’ho fatti. Né de’ ritratti fatti da me che pur sono assai farò menzione alcuna, che sarebbe cosa tediosa; e per dire il vero, me ne sono difeso quanto ho potuto di farne. Questo finito, dipinsi a fra’ Mariotto da Castiglioni aretino, per la chiesa di San Francesco di detta terra, in una tavola la Nostra Donna, Santa Anna, San Francesco e San Salvestro. E nel medesimo tempo disegnai al cardinal di Monte, che poi fu papa Giulio Terzo, molto mio patrone, il quale era allora legato di Bologna, l’ordine e pianta d’una gran coltivazione, che poi fu messa in opera a’ piè del Monte San Savino, sua patria, dove fui più volte d’ordine di quel signore, che molto si dilettava di fabricare. Andato poi, finite che ebbi quest’opere, a Fiorenza, feci quella state, in un segno da portare a processione della Compagnia di San Giovanni de’ Peducci d’Arezzo, esso Santo che predica alle turbe da una banda, e dall’altra il medesimo che battezza Cristo, la qual pittura avendo sùbito che fu finita mandata nelle mie case d’Arezzo, perché fusse consegnata agl’uomini di detta Compagnia, avvenne che passando per Arezzo monsignor Giorgio cardinale d’Armignach franzese, vide, nell’andare per altro a vedere la mia casa, il detto segno, o vero stendardo; per che, piacciutogli, fece ogni opera d’averlo, offerendo gran prezzo, per mandarlo al re di Francia, ma io non volli mancar di fede a chi me l’aveva fatto fare, perciò che se bene molti dicevano che n’arei potuto fare un altro, non so se mi fusse venuto fatto così bene e con pari diligenza. E non molto dopo feci per Messer Anibale Caro, secondo