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sette braccia, cioè tre per testata. In tre che sono sopra l’entrata del refettorio è il piovere della manna al popolo ebreo, presenti Moisè et Aron che la ricogliono, nel che mi sforzai di mostrare nelle donne, negl’uomini e ne’ putti diversità d’attitudini e vestiti, e l’affetto con che ricogliono e ripongono la manna ringraziandone Dio. Nella testata che è a sommo è Cristo che desina in casa di Simone, e Maria Madalena, che con le lacrime gli bagna i piedi e gl’asciuga con i capelli, tutta mostrandosi pentita de’ suoi peccati. La quale storia è partita in tre quadri: nel mezzo è la cena, a man ritta una bottiglieria con una credenza piena di vasi in varie forme e stravaganti, et a man sinistra uno scalco che conduce le vivande. Le volte furono compartite in tre parti: in una si tratta della Fede, nella seconda della Religione e nella terza dell’Eternità. Ciascuna delle quali, perché erano in mezzo, ha otto Virtù intorno, dimostranti ai monaci che in quel refettorio mangiano quello che alla loro vita e perfezzione è richiesto. E per arricchire i vani delle volte, gli feci pieni di grottesche, le quali in quarantotto vani fanno ornamento alle quarantotto immagini celesti; et in sei facce per lo lungo di quel refettorio sotto le finestre fatte maggiori e con ricco ornamento, dipinsi sei delle parabole di Gesù Cristo, le quali fanno a proposito di quel luogo. Alle quali tutte pitture et ornamenti corrisponde l’intaglio delle spalliere fatte riccamente. Dopo, feci all’altar maggiore di quella chiesa una tavola alta otto braccia dentrovi la Nostra Donna che presenta a Simeone nel tempio Gesù Cristo piccolino, con nova invenzione. Ma è gran cosa, che dopo Giotto, non era stato insino allora in sì nobile e gran città maestri che in pittura avessino fatto alcuna cosa d’importanza, se ben vi era stato condotto alcuna cosa di fuori di mano del Perugino e di Raffaello, per lo che m’ingegnai fare di maniera, per quanto si estendeva il mio poco sapere, che si avessero a svegliare gl’ingegni di quel paese a cose grandi et onorevoli operare. E questo o altro che ne sia stato cagione, da quel tempo in qua vi sono state fatte di stucchi e pitture molte bellissime opere. Oltre alle pitture sopradette, nella volta della foresteria del medesimo monasterio condussi a fresco, di figure grandi quanto il vivo, Gesù Cristo che ha la croce in ispalla, et a imitazione di lui molti de’ suoi Santi che l’hanno similmente addosso, per dimostrare che a chi vuole veramente seguitar lui, bisogna portare e con buona pacienza l’avversità che dà il mondo. Al generale di detto Ordine condussi in un gran quadro Cristo, che aparendo agl’Apostoli travagliati in mare dalla fortuna, prende per un braccio S. Piero, che a lui era corso per l’acqua, dubitando non affogare. Et in un altro quadro per l’abate Capeccio feci la Ressurezione; e queste cose condotte a fine, al signor don Pietro di Tolledo viceré di Napoli dipinsi a fresco nel suo giardino di Pozzuolo una cappella et alcuni ornamenti di stucchi sottilissimi. Per lo medesimo si era dato ordine di far due gran logge, ma la cosa non ebbe effetto per questa cagione. Essendo stata alcuna differenza fra il viceré e detti monaci, venne il bargello con sua famiglia al monasterio per pigliar l’abate et alcuni monaci, che in processione avevano avuto parole, per conto di precedenza, con i monaci neri. Ma i monaci facendo difesa, aiutati da circa quindici giovani che meco di stucchi e pitture lavoravano, ferirono alcuni birri, per lo che bisognando di notte cansargli, s’andarono chi qua e là, e così io rimaso quasi solo, non solo non potei fare le logge di Pozzuolo, ma né anco fare ventiquattro quadri di storie del Testamento Vecchio e della vita di S. Giovanni Batista; i quali, non mi sadisfacendo di restare in Napoli più, portai a fornire a Roma,