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in mano, aveva un de’ piedi posto in sul collo e, guardandola con atto sdegnoso, parea che le dicesse la sua necessità o volontà che sia non avere fatto nulla, però che mal suo grado viverà Michelagnolo in ogni modo. Il motto diceva così: "Vicit inclita virtus", e questa fu invenzione del Vasari. Né tacerò che ciascuna di queste Morti era tramezzata dall’impresa di Michelagnolo, che erano tre corone o vero tre cerchi intrecciati insieme, in guisa che la circonferenza dell’uno passava per lo centro degl’altri due scambievolmente. Il quale segno usò Michelagnolo, o perché intendesse che le tre professioni di scultura, pittura et architettura fussero intrecciate et in modo legate insieme, che l’una dà e riceve dall’altra comodo et ornamento e ch’elle non si possono né deono spiccar d’insieme, o pure che come uomo d’alto ingegno ci avesse dentro più sottile intendimento. Ma gl’accademici, considerando lui in tutte e tre queste professioni essere stato perfetto, e che l’una ha aiutato et abbellito l’altra, gli mutarono i tre cerchi in tre corone intrecciate insieme, col motto: "Tergeminis tollit honoribus", volendo perciò dire che meritamente in dette tre professioni se gli deve la corona di somma perfezzione. Nel pergamo dove il Varchi fece l’orazione funerale, che poi fu stampata, non era ornamento alcuno, perciò che essendo di bronzo e di storie di mezzo e basso rilievo dall’eccellente Donatello stato lavorato, sarebbe stato ogni ornamento, che se gli fusse sopra posto, di gran lunga men bello. Ma era bene in su quell’altro, che gli è dirimpetto e che non era ancor messo in su le colonne, un quadro alto quattro braccia e largo poco più di due, dove con bella invenzione bonissimo disegno era dipinto per la Fama o vero Onore un giovane con bellissima attitudine con una tromba nella man destra e con i piedi addosso al Tempo et alla Morte, per mostrare che la fama e l’onore, mal grado della morte e del tempo, serbano vivi in eterno coloro che virtuosamente in questa vita hanno operato. Il qual quadro fu di mano di Vincenzio Danti perugino scultore, del quale si è parlato e si parlerà altra volta. In cotal modo essendo apparata la chiesa, adorna di lumi e piena di populo inumerabile, per essere ognuno, lasciata ogni altra cura, concorso a così onorato spettacolo, entrarono dietro al detto luogotenente dell’Accademia, accompagnati dal capitano et alabardieri della guardia del Duca, i consoli e gl’accademici et insomma tutti i pittori, scultori et architetti di Firenze. I quali poi che furono a sedere, dove fra il catafalco e l’altare maggiore erano stati buona pezza aspettati da un numero infinito di signori e gentiluomini, che secondo i meriti di ciascuno erano stati a sedere accomodati, si diede principio a una solennissima messa de’ morti con musiche e cerimonie d’ogni sorte. La quale finita, salì sopra il pergamo già detto il Varchi, che poi non aveva fatto mai cotale ufficio che egli lo fece per la illustrissima signora duchessa di Ferrara, figliuola del duca Cosimo, e quivi con quella eleganza, con que’ modi e con quella voce che proprii e particolari furono, in orando, di tanto uomo, raccontò le lodi, i meriti, la vita e l’opere del divino Michelagnolo Buonarruoti. E nel vero che grandissima fortuna fu quella di Michelagnolo non morire prima che fusse creata la nostra Accademia, da che con tanto onore e con sì magnifica et onorata pompa fu celebrato il suo mortorio. Così a sua