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danari guadagnati col suo sudore, non con entrate, non con cambi, ma con lo studio e fatica sua, se si può chiamare avaro chi soveniva molti poveri, come faceva egli, e maritava segretamente buon numero di fanciulle, et arricchiva chi lo aiutava nell’opere, e chi lo servì come Urbino suo servidore che lo fece ricchissimo et era suo creato che l’aveva servito molto tempo; e gli disse: "Se io mi muoio, che farai tu?". Rispose: "Servirò un altro". "O povero a te", gli disse Michelagnolo, "io vo’ riparare alla tua miseria", e gli donò scudi dumila in una volta, cosa che è solita da farsi per i Cesari e pontefici grandi; senzaché al nipote ha dato per volta tre e quattro mila scudi, e nel fine gli ha lassato scudi diecimila senza le cose di Roma. È stato Michelagnolo di una tenace e profonda memoria, che nel vedere le cose altrui una sol volta l’ha ritenute sì fattamente e servitosene in una maniera, che nessuno se n’è mai quasi accorto, né ha mai fatto cosa nessuna delle sue che riscontri l’una con l’altra, perché si ricordava di tutto quello che aveva fatto. Nella sua gioventù sendo con gli amici sua pittori, giucorno una cena a chi faceva una figura che non avessi niente di disegno, che fussi goffa, simile a que’ fantocci che fanno coloro che non sanno et imbrattano le mura, Qui si valse della memoria, perché ricordatosi aver visto in un muro una di queste gofferie, la fece come se l’avessi avuta dinanzi di tutto punto, e superò tutti que’ pittori; cosa dificile in uno uomo tanto pieno di disegno, avvezzo a cose scelte, che ne potessi uscir netto. È stato sdegnoso e giustamente verso di chi gli ha fatto ingiuria, non però s’è visto mai esser corso alla vendetta, ma sì bene più tosto pazientissimo et in tutti i costumi modesto, e nel parlare molto prudente e savio, con risposte piene di gravità et alle volte con motti ingegnosi, piacevoli et acuti. Ha detto molte cose che sono state da noi notate, delle quali ne metteremo alcune, perché saria lungo a descriverle tutte. Essendogli ragionato della morte da un suo amico dicendogli che doveva assai dolergli, sendo stato in continove fatiche per le cose dell’arte, né mai avuto ristoro, rispose che tutto era nulla, perché se la vita ci piace, essendo anco la morte di mano d’un medesimo maestro, quella non ci doverebbe dispiacere. A un cittadino che lo trovò da Or San Michele in Fiorenza che s’era fermato a riguardare la statua del San Marco di Donato, e lo domandò quel che di quella figura gli paresse, Michelagnolo rispose che non vedde mai figura che avessi più aria di uomo da bene di quella e che se San Marco era tale, se gli poteva credere ciò che aveva scritto. Essendogli mostro un disegno e raccomandato un fanciullo che allora imparava a disegnare, scusandolo alcuni che era poco tempo che s’era posto all’arte, rispose: "E’ si conosce". Un simil motto disse a un pittore che aveva dipinto una Pietà e non s’era portato bene, che ell’era proprio una pietà a vederla. Inteso che Sebastiano Viniziano aveva a fare nella cappella di San Piero a Montorio un frate, disse che gli guasterebbe quella opera; domandato della cagione, rispose che avendo eglino guasto il mondo che è sì grande, non sarebbe gran fatto che gli guastassino una cappella sì piccola. Aveva fatto un pittore una opera con grandissima fatica e penatovi molto tempo, e nello scoprirla aveva acquistato assai; fu dimandato Michelagnolo che gli pareva del facitore di quella; rispose: "Mentre che costui vorrà esser ricco, sarà del