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alla cappella del re, che nacque per non vi potere ire, come soleva, uno errore: che il capo maestro in sul corpo di tutta la volta prese la misura con una centina sola, dove avevano a essere infinite. Michelagnolo, come amico e confidente del Vasari, gli mandò di sua mano disegni con queste parole scritte a piè di dua:

La centina segnata di rosso la prese il capo maestro sul corpo di tutta la volta; di poi, come si cominciò a passar al mezzo tondo, che è nel colmo di detta volta, s’accorse dell’errore che faceva detta centina, come si vede qui nel disegno le segnate di nero. Con questo errore è ita la volta tanto innanzi, che s’ha a disfare un gran numero di pietre, perché in detta volta non ci va nulla di muro, ma tutto trivertino, et il diametro de’ tondi, che senza la cornice gli ricigne di ventidue palmi. Questo errore, avendo il modello fatto appunto, come fo d’ogni cosa, è stato fatto per non vi potere andare spesso per la vecchiezza; e dove io credetti che ora fussi finita detta volta, non sarà finita in tutto questo verno; e se si potessi morire di vergogna e dolore, io non sarei vivo. Pregovi che raguagliate il Duca ché io non sono ora a Fiorenza.

E seguitando nell’altro disegno dove egli aveva disegnato la pianta diceva così:

Messer Giorgio, perché sia meglio inteso la dificultà della volta, per osservare il nascimento suo fino di terra, è stato forza dividerla in tre volte in luogo delle finestre da basso divise dai pilastri, come vedete, che e’ vanno piramidati in mezzo, dentro del colmo della volta come fa il fondo e’ lati delle volte ancora, e bisognò governarle con un numero infinito di centine, e tanto fanno mutazione e per tanti versi di punto in punto, che non ci si può tener regola ferma; e’ tondi e’ quadri che vengono nel mezzo de’ lor fondi hanno a diminuire e crescere per tanti versi et andare a tanti punti, che è dificil cosa a trovare il modo vero. Nondimeno, avendo il modello, come fo di tutte le cose, non si doveva mai pigliare sì grande errore di volere con una centina sola governare tutt’a tre que’ gusci, onde n’è nato ch’è bisognato con vergogna e danno disfare, e disfassene ancora un gran numero di pietre. La volta et i conci et i vani è tutta di trivertino, come l’altre cose dabasso, cosa non usata a Roma.

Fu assoluto dal duca Cosimo Michelagnolo, vedendo questi inconvenienti, del suo venire più a Fiorenza, dicendogli che aveva più caro il suo contento, e che seguitasse San Piero, che cosa che potessi avere al mondo, e che si quietassi. Onde Michelagnolo scrisse al Vasari nella medesima carta che ringraziava il Duca quanto sapeva e poteva di tanta carità, dicendo: "Dio mi dia grazia ch’io possa servirlo di questa povera persona", ché la memoria e ’l cervello erano iti aspettarlo altrove. La data di questa lettera fu d’agosto l’anno 1557; avendo per questo Michelagnolo conosciuto che ’l Duca stimava e la vita e l’onor suo più che egli stesso che l’adorava. Tutte queste cose e molt’altre che non fa di bisogno, aviamo appresso di noi scritte di sua mano. Era ridotto Michelagnolo in un termine, che vedendo che in San Piero si trattava poco, et avendo già tirato innanzi gran parte del fregio delle finestre di dentro e delle colonne doppie di fuora che girano sopra il cornicione tondo, dove s’ha poi a posare la cupola, come si dirà, che confortato da’ maggiori amici suoi come dal cardinale di Carpi, da Messer Donato Gianozzi e da Francesco Bandini e da Tomao de’ Cavalieri e dal Lottino, lo stringevano che, poi che vedeva il ritardare del volgere la cupola, ne dovessi fare almeno un modello; stette molti mesi di così senza risolversi, alla fine vi diede