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modo che io son ritornato men che mezzo a Roma, perché veramente e’ non si trova pace se non ne’ boschi. Altro non ho che dirvi, mi piace che stiate sano e lieto, e mi vi raccomando. De’ 18 di settembre 1556.

Lavorava Michelagnolo quasi ogni giorno per suo passatempo intorno a quella pietra che s’è già ragionato, con le quattro figure, la quale egli spezzò in questo tempo per queste cagioni: perché quel sasso aveva molti smerigli et era duro e faceva spesso fuoco nello scarpello; o fusse pure che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande che non si contentava mai di cosa che e’ facessi: e che e’ sia il vero, delle sue statue se ne vede poche finite nella sua virilità, ché le finite affatto sono state condotte da lui nella sua gioventù, come il Bacco, la Pietà della Febre, il Gigante di Fiorenza, il Cristo della Minerva, che queste non è possibile né crescere né diminuire un grano di panìco senza nuocere loro; l’altre del duca Giuliano e Lorenzo, Notte et Aurora, e ’l Moisè con altre dua in fuori, che non arrivano tutte a undici statue, l’altre dico sono state imperfette, e son molte maggiormente, come quello che usava dire, che se s’avessi avuto a contentare di quel che faceva, n’arebbe mandate poche, anzi, nessuna fuora; vedendosi ch’egli era ito tanto con l’arte e col giudizio innanzi, che com’egli aveva scoperto una figura e conosciutovi un minimo che d’errore, la lasciava stare e correva a manimettere un altro marmo, pensando non avere a venire a quel medesimo; et egli spesso diceva essere questa la cagione che egli diceva d’aver fatto sì poche statue e pitture. Questa Pietà, come fu rotta, la donò a Francesco Bandini. In questo tempo Tiberio Calcagni scultore fiorentino era divenuto molto amico di Michelagnolo, per mezzo di Francesco Bandini e di Messer Donato Giannotti, et essendo un giorno in casa di Michelagnolo dove era rotta questa Pietà, dopo lungo ragionamento li dimandò per che cagione l’avessi rotta e guasto tante maravigliose fatiche: rispose esserne cagione la importunità di Urbino suo servidore, che ogni dì lo sollecitava a finirla, e che fra l’altre cose gli venne levato un pezzo d’un gomito della Madonna, e che prima ancora se l’era recata in odio e ci aveva avuto molte disgrazie attorno di un pelo che v’era; dove scappatogli la pazienzia la roppe, e la voleva rompere affatto, se Antonio suo servidore non se gli fusse raccomandato che così com’era gliene donassi. Dove Tiberio inteso ciò, parlò al Bandino, che desiderava di avere qualcosa di mano sua, et il Bandino operò che Tiberio promettessi a Antonio scudi duecento d’oro, e pregò Michelagnolo che se volessi che con suo aiuto di modelli Tiberio la finissi per il Bandino, saria cagione che quelle fatiche non sarebbono gettate invano, e ne fu contento Michelagnolo; là dove ne fece loro un presente. Questa fu portata via subito e rimessa insieme poi da Tiberio, e rifatto non so che pezzi, ma rimase imperfetta per la morte del Bandino, di Michelagnolo e di Tiberio. Truovasi al presente nelle mani di Pierantonio Bandini, figliuolo di Francesco, alla sua vigna di Monte Cavallo. E tornando a Michelagnolo, fu necessario trovar qualcosa poi di marmo perché e’ potessi ogni giorno passar tempo scarpellando, e fu messo un altro pezzo di marmo, dove era stato già abbozzato un’altra Pietà, varia da quella, molto minore. Era entrato a servire